Vermiglio

A cura di

Natalia Cecconi

Immagini di

Filmitalia.org


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È il 1944 a Vermiglio, piccolo paese nella Val di Sole del Trentino Alto Adige, e la comunità è in attesa della fine della guerra. 

Sullo sfondo, la vita del villaggio, ritmata dal susseguirsi delle stagioni e dalle quotidiane attività di montagna. Al centro del racconto, le vicende della famiglia Graziadei, capeggiata da Cesare (Tommaso Ragno). Questi, padre impassibile di una numerosa prole e austero marito di Adele (Roberta Rovelli), è anche insegnante dell’unica scuola locale, frequentata da bambini e ragazzi di diverse età.

In paese arriva Pietro, soldato siciliano tornato dal fronte, del quale si innamora Lucia, figlia maggiore della famiglia Graziadei. I due si sposano e Lucia rimane incinta. Ma quando Pietro, finita la guerra, fa ritorno in terra siciliana per salutare i cari, viene ucciso dalla donna con la quale era già sposato. La notizia della bigamia arriva in paese attraverso i giornali, e Lucia dovrà fare i conti con il doppio dolore della perdita e del tradimento, mentre è condannata a crescere, sola, un bambino appena nato.

Intanto, Ada, figlia adolescente della famiglia, è nel mezzo dello sviluppo e si confronta per le prime volte con i propri impulsi sessuali. Impulsi che decide di soddisfare segretamente fra gli anfratti della propria camera da letto, salvo poi sanzionarli immancabilmente come “peccati” con preghiere e riti purificatori ossessivamente ripetuti, secondo le prescrizioni del parroco di Vermiglio.
Su un piano, almeno inizialmente, secondario, la vita di Adele, madre della famiglia che, gravidanza dopo gravidanza, è ridotta a perpetuo organo riproduttore. 

A prospettive ribaltate: la centralità del femminile

Tanto delicata quanto potente, la pellicola di Maura Delpero – seconda in carriera – è un’opera che non esitiamo a definire femminista, il cui messaggio si coglie in tutta la sua disarmante universalità e attualità.

Lo scenario di guerra appare infatti quasi un pretesto, o una metafora, per descrivere la condizione di prigionia di donne sottoposte al dominio maschile, incarnato soprattutto dal pater familias, Cesare, e, di riflesso, dallo sposo di Lucia, Pietro. 

Ma è solo illusorio, destinato a crollare, il dominio che il maschile pretende imporre nella pellicola. Quasi impercettibilmente l’interesse della narrazione si sposta infatti sulla interiorità delle figure femminili, quasi sbeffeggiando la pretesa centralità degli uomini del racconto, che viene rovinosamente affossata dalla potenza e dalla profondità delle figure femminili. Sono infatti loro, e in particolare le figlie e la madre della famiglia Graziadei, le vere protagoniste del racconto, su cui la regista indugia osservandole con cura. 

Lucia, Ada, Flavia e Adele: una storia individuale e collettiva

Lasciando in sottofondo la guerra, dimensione eminentemente e canonicamente maschile, la narrazione posa lo sguardo, sensibile e attento, sulle esperienze personali delle donne e sulla reciproca interazione di tali personaggi, senza mai dimenticare l’impietosa voce delle norme culturali e religiose. 

E così, Lucia, Ada, ma anche la sorella minore Flavia e la madre Adele, vengono ritratte nel tentativo di disfarsi dei rigidi ruoli sociali che le vorrebbe caste, pure, mansuete. 

Ecco che lo spettatore osserva, con l’attenzione che la regista è capace di concedergli, il senso di colpa di Ada, alle prese con una società ben lungi dall’accettare la sua libertà sessuale; i conflitti interiori di una giovane madre, Lucia, divorata dai sentimenti ambivalenti per il figlio dell’uomo che l’ha “sedotta e abbandonata”; l’arrivo del menarca della piccola Flavia, figlia prediletta di Cesare, che ne stravolge la pretesa e imposta purezza. 

Centrale diventa quindi la tragedia interiore di ciascuna delle protagoniste: una tragedia individuale ma collettiva, che silenziosamente si trasforma in impresa.

Ne emerge un contrasto fortissimo tra le catene di una società intrisa di norme sociali e religiose e i desideri inascoltati di donne che faticano a trovare la propria voce e la propria autentica dimensione, e con cui lo spettatore non può che empatizzare. 

Verso la liberazione

La fine della guerra, che arriva nella parte conclusiva del film, viene dipinta come una promessa di liberazione anche per le stesse protagoniste. Queste escono radicalmente emancipate dalla ristretta condizione di subalternità in cui sono inizialmente ritratte. Emblema ne è la scena in cui Adele, dopo aver dato alla luce l’ennesimo figlio, riesce finalmente a “ribellarsi” al marito, riappropriandosi della propria forza creatrice. 

Ma è forse Ada, figlia totalmente ignorata dal padre, che non la reputa abbastanza intelligente da poter proseguire gli studi, la figura più interessante del film. Personaggio cupo e pasoliniano, Ada viene seguita durante tutta la pellicola nella sua enorme sofferenza, apparentemente destinata ad una vita di emarginazione. Un destino da cui la stessa riesce però a sottrarsi. Iconica e sovversiva è, in questo senso, la scena in cui Ada, divenuta suora, si scosta il velo per fumare alla finestra: un’immagine che ha il sapore della rivoluzione.

Vermiglio, 1944: vita lenta, attesa e povertà

Al margine di questa lettura, il film si fa apprezzare anche per la descrizione delle scene quotidiane della lenta vita rurale degli abitanti di Vermiglio, paese natale del padre della regista. La mungitura, la raccolta dell’acqua, i pasti semplici e poveri, le lunghe attese per la corrispondenza epistolare, portano lo spettatore in una dimensione quasi fuori dal tempo, eppure così attuale.

Ma l’anima di chi guarda si scalda anche di fronte alle scene delle tre sorelle coricate nello stesso letto prima di addormentarsi, mentre teneramente parlano accarezzandosi i capelli – scene che evocano alla memoria del cinefilo alcune immagini del neorealismo.

Vincitore del Leone d’argento – Gran premio della giuria all’ultima Mostra del cinema di Venezia (2024), e designato dall’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali (ANICA) come candidato all’Oscar per il miglior film internazionale, Vermiglio è un film delicato, sobrio, privo di retoriche e fronzoli, sia nelle immagini che nella narrazione, ed è forse qui che risiedono la sua forza e la sua bellezza.

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