Politica e società
Perché il futuro non deve farci paura
Oggi verso il futuro le sensazioni più diffuse sono paura e incertezza, ma forse possediamo qualità che ci permetteranno di affrontare le sfide di domani
A cura di
Fabrizio Corgnati
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Pandemia, guerra, crisi economica… guardando come i media ci raccontano il presente, ci verrebbe da pensare che stia arrivando l’Apocalisse. Nel libro La fine del mondo (non) è vicina. Perché il futuro non deve farci paura, edito da Santelli, ho voluto mostrare un punto di vista diverso, analizzando una vasta e ben documentata mole di ricerche scientifiche, tesi filosofiche e studi storici, secondo cui quella a cui stiamo assistendo potrebbe essere anche la nascita di una nuova società, di una nuova civiltà, di una nuova epoca.
L’idea è quella di applicare le stesse categorie dello sviluppo personale su un piano collettivo. Pensate alla vostra storia individuale: rispetto a vent’anni fa siete cresciuti, maturati, più consapevoli? Di solito mi rispondono tutti di sì. E allora aggiungo: siete maturati di nei momenti in cui vi mangiavate una pizza con gli amici, uscivate con un partner, restavate comodi sul divano a vedere un bel film oppure nei momenti di difficoltà, di dolore? Anche questa risposta è abbastanza ovvia: “La seconda che hai detto”, per citare qualcuno. Questa è la stessa cosa che avviene alla nostra civiltà nei momenti di crisi.
Queste crisi, individuali ma anche collettive, avvengono quando un paradigma, un modello di sviluppo, uno schema di interpretazione e di azione sul mondo non è più adatto ad affrontare le problematiche che sono sorte nel frattempo. La realtà cambia, evolve naturalmente, mentre il nostro paradigma resta fermo sostanzialmente a quando è nato. Si crea una discrepanza che è proprio all’origine delle crisi.
Il materialismo scientifico
Il paradigma oggi entrato in crisi lo chiamo, prendendo a prestito un termine non inventato da me, “materialismo scientifico”. È nato circa tre secoli fa con la Rivoluzione scientifica prima e industriale poi, e ha dato forma al nostro mondo moderno: è stato utilissimo per far compiere alla nostra società un incredibile salto in avanti dal punto di vista della ricchezza collettiva, delle scoperte scientifiche, della tecnologia, della salute, della democrazia, insomma sotto tutti i fronti della qualità della nostra vita, che è indubbiamente migliorata rispetto al ‘700. Ma ora non funziona più come prima, un po’ perché è cambiato il mondo, sono cambiate le nostre necessità, un po’ perché esso stesso ha fatto sorgere nuovi problemi che ora devono essere risulti dal nuovo paradigma.
Questo è il cuore del concetto di crisi: è una sfida che ci costringe ad alzare il nostro potenziale per essere all’altezza, quindi a crescere, a migliorarci, a evolverci. È ciò che facciamo noi di fronte alle nostre crisi individuali ed è anche quello che ha sempre fatto la nostra società nel corso della propria storia. Ecco perché mi spingo a dire il nuovo mondo che nascerà da questa fase di transizione non sarà certamente perfetto, ma sarà migliore di quello vecchio.
Mi spiego meglio facendo un passo indietro. Nel Medioevo il paradigma dominante era quello del monoteismo, da noi quello del cristianesimo cattolico. Il Papa era la figura di riferimento politica, il più potente del mondo, colui al quale ci si rivolgeva per decidere cosa fare. Poi è arrivato il materialismo scientifico: abbiamo iniziato a scoprire la scienza, strumento fondamentale per leggere e intervenire sul mondo intorno a noi.
Man mano che si consolidava, però, questo paradigma ci ha condotto a ridurre tutta la realtà alla dimensione materiale: ci siamo talmente concentrati su questo aspetto da iniziare a pensare che contasse solo quello. Non a caso il nostro sistema contemporaneo è totalmente incentrato sul possesso di beni e di denaro e sul suo costante accrescimento.
La fase integrale
Oggi, in maniera sempre più diffusa e spontanea, le persone si iniziano a rendere conto che questa ricerca ossessiva dello sviluppo economico a tutti i costi ha prodotto disuguaglianze inaccettabili, sfruttamento dell’ambiente e delle persone, ma soprattutto non è sufficiente a renderci felici. Non intendo dire con questo che il capitalismo sia il male o che il denaro sia lo sterco del diavolo, voglio dire che da solo non ci basta: dobbiamo integrare la materia con la dimensione immateriale. Da qui nasce il nuovo paradigma, che io appunto chiamo paradigma “integrale”, dal concetto di “integrazione”.
Come sarà questo nuovo paradigma? Naturalmente io non ho la sfera di cristallo, quindi non so come andrà: mi limito ad analizzare pragmaticamente quello che succede, alla luce di quanto è sempre avvenuto nella storia. L’evoluzione, biologica e mentale, va sempre verso una crescita di integrazione, cioè di differenziazione e collegamento. Siamo partiti da un’unica forma di vita, la famosa ameba unicellulare, che poi si è andata differenziando: esseri pluricellulari, piante, pesci, uccelli, animali terrestri, mammiferi, primati, l’essere umano, e poi innumerevoli etnie, culture, tradizioni umane, le più diverse possibili. Ma la differenziazione è sempre equilibrata con il collegamento.
Questo è uno straordinario equivoco sorto in questa fase finale del materialismo scientifico: ci siamo illusi di essere completamente indipendenti gli uni dagli altri, che la nostra volontà individuale debba prevalere su tutto, che siamo disciolti da qualunque legame e abbiamo il diritto di realizzare qualunque cosa decidiamo. Evidentemente non è così: siamo tutti collegati, interdipendenti. Quindi passare al paradigma integrale significa aumentare ulteriormente la differenziazione e il collegamento.
Finora ho descritto la situazione solo sul piano teorico. Ma in pratica questo cambiamento è visibile attraverso ciò che è accaduto nelle vite di ciascuno di noi. Il Covid è stato, se non il fattore scatenante, sicuramente un formidabile acceleratore del cambiamento. Ci ha costretti a chiuderci tutti in casa, a interrompere bruscamente la nostra routine quotidiana, le nostre abitudini di vita, a scendere dalla “ruota del criceto” sulla quale correvamo incessantemente, senza magari sapere neanche tanto bene dove stavamo andando. Così facendo, ci ha costretto a guardarci allo specchio, a fare i conti con il fatto che la vita che vivevamo spesso non era quella che desideravamo.
La felicità al centro del futuro
Il risultato è stato che, quando sono tornati nel mondo esterno, in tantissimi hanno scelto di cambiare lavoro, città, relazioni, vita. Sempre più persone stanno lasciando i propri posti di lavoro anche stabili, a tempo indeterminato, per cercare un equilibrio migliore con la propria vita privata, un senso diverso della vita, una maggiore felicità.
Ma non solo. Stanno nascendo strumenti in politica, in economia, nella cultura, nella tecnologia che mettono insieme la necessità di crescita materiale ed economica con la consapevolezza, la felicità. Non ci basta più pensare soltanto al segno “più” in fondo al bilancio o al Pil, ci interessa un sistema che pensi al benessere delle persone, nelle aziende, negli Stati, nelle famiglie, nelle scuole, negli ospedali.
Questa è la sfida che ci pone questa transizione epocale: chi vuole rendersi attore protagonista di questo cambiamento ha l’occasione di esercitare la propria creatività e iniziare a sperimentare i vari modi in cui mettere in pratica questo cambiamento. È un’impresa senza dubbio faticosa e impegnativa, ma è anche un’avventura straordinaria, capace di dare un senso nuovo alla nostra vita.