Musica
Musica per il mondo
Intervista a Paolo Benvegnù
Tratto dalla rivista N.07
A cura di
Haron Dini
Immagini di
Antonio Viscido
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Canzoni scritte per gli altri, ma anche per sé stessi. Paolo Benvegnù, classe 1965, è un cantautore milanese che nel corso della sua carriera ha fatto strada nel panorama alternative rock anni ‘90 con la band Scisma, scrivendo capitoli importanti nella scena come Rosemary Plexiglas. Dopo lo scioglimento della band si trasferisce a Firenze, e da lì registrerà nel 2004 il suo primo album da solista: Piccoli Fragilissimi Film. Il disco sarà un successo, anche perché Mina, nel 2009, inserirà il brano Io e Te nel suo album Caramella.
A vent’anni della sua uscita, Paolo non solo ha vinto la prestigiosa Targa Tenco con il disco È Inutile Parlare D’amore, ma ha riproposto Piccoli Fragilissimi Film – Reloaded in una versione riarrangiata e ricca di ospiti. Il tutto con una nuova produzione dell’album, ma anche un altro spirito.
Siamo qui per festeggiare i vent’anni di “Piccoli Fragilissimi Film”. Come ti senti ad aver raggiunto questo traguardo?
Credimi, per me è una cosa un po’ strana. Io non torno mai sul luogo del delitto, perché questa è una operazione nostalgica. In realtà sono stati i ragazzi di Woodworm label a propormi il rifacimento di questo disco perché per loro, e anche per tante altre persone, Piccoli Fragilissimi Film è stato molto importante: una musica di formazione. Io da dentro non lo avrei mai pensato, perché questo disco ha tanti racconti frammentati ed ero molto scettico. Alla fine è risultato tutto quanto molto divertente perché chi ha partecipato lo ha fatto con un entusiasmo inspiegabile.
Come vedi l’album rispetto a vent’anni fa? Che cosa è cambiato nel percorso, nella vita, nelle immagini e nella tua persona?
All’epoca ero abbastanza disperato. Non sapevo dov’ero, ma sapevo di aver fatto una scelta. Io venivo da una formazione di ruolo, ero il chitarrista degli Scisma, ma ritrovandomi successivamente nella libertà e parlando agli esseri umani è stato complicato. Di conseguenza in quel periodo la scrittura era abbastanza furiosa. Adesso invece è più gioiosa, perché in vent’anni sono cambiate tante cose, e quello che racconto adesso probabilmente non l’avrei raccontato vent’anni fa. Se vogliamo vedere il lato positivo, in questo album non canto solo io, quindi l’ascolto può risultare più leggero.
Ho apprezzato molto anche gli artisti che partecipano nel disco. Ermal Meta, Piero Pelù, Motta, Dente, i Fast Animals and Slow Kids, La Rappresentante Di Lista, Tosca, Appino e tanti altri. Come nasce la scelta di tutti questi ospiti?
Quando mi hanno convinto a fare questa cosa avevo dei desideri nel cassetto. Fare qualcosa insieme a Paolo Fresu era un sogno da sempre. Ma alla fine tutti quanti hanno voluto aderire con gioia, e non mi sarei mai immaginato che Piero Pelù, all’epoca, ascoltasse questo album. Mai nella vita. Ma anche Tosca. La cosa bellissima è che ognuno di loro si è inserito nelle canzoni e si è trovato a proprio agio e ha trovato il proprio spazio. Quello che ha fatto Malika Ayane in Io e Te è qualcosa di prodigioso. E pensare che quel brano è stato cantato addirittura da Mina è fantastico.
Mi ha fatto molto piacere vedere il nome di Irene Grandi. Con lei avevi già qualche esperienza musicale in passato?
Irene è stupenda. Lei ha contribuito in Le Gioie Minime che è una bonus track, e quel brano lo vedevo molto bene nel suo immaginario. La cosa ancora più stupenda è che lei mi ha rimandato le voci registrate in tre ore, forse meno, ed è stata commovente la sua volontà e non me l’aspettavo. D’altronde stiamo parlando di esseri umani eccezionali. Noi in realtà ci conosciamo da molti anni, aveva già contribuito in un altro brano È Solo Un Sogno. Ci siamo ritrovati un anno e mezzo fa per il festival dedicato agli alluvionati a Prato ed è stato un momento felice per entrambi.
Vent’anni fa vincevi il premio “Meeting delle etichette indipendenti”. Vent’anni dopo, proprio quest’anno, la Targa Tenco. Come racconti tutto questo?
Ancora non ci credo. Mi sembra troppo. In Italia ci sono artisti molto più bravi di me, mi viene da pensare ad Alessandro Fiori o a Marco Parente. Forse faccio torto a qualcuno ma veramente, ci sono centinaia di artisti che si meritano questo premio. In mezzo ci sono quindici anni di musica ed espressioni che sono state nascoste da altra musica. Quindi se questo premio lo hanno ricevuto “i Paolo Benvegnù” allora questa carezza la voglio condividere anche con gli altri artisti. Quando dico questo lo dico veramente, perché ci sono state delle scene italiane molto interessanti che non sono state viste. Il fatto che venga vista adesso per me è gratificante, e in questa scena io sono il più piccolo. Perciò, grazie di cuore.
Il pubblico è cambiato? Non parlo dei numeri, ma di un senso umano, o astratto. Ti senti di parlare sempre allo stesso pubblico?
Io sono convinto di questo: chi intercetta le mie cose nelle canzoni non fa parte di un pubblico, ma di un privato. Noi non ci rivolgiamo al pubblico, semplicemente perché noi ci rivolgiamo individualmente. Il pubblico è una massa, mentre io ho sempre pensato al dialogo tra essere umano e essere umano. Si parla delle privazioni. Alcune persone che vengono a vedere i miei concerti le conosco personalmente e con loro ho un dialogo costante. Mi piace mantenere questo rapporto perché almeno, i miei privati, mi fanno capire anche certe cose che io da solo non comprendo.
Tra i temi che hai sempre trattato c’è anche quello del cambiamento, appunto. Spesso racconti che noi esseri umani dovremmo prendere esempio da altri esseri viventi. Non faccio fatica a pensarlo, visto che il periodo storico in cui viviamo è molto complesso.
Purtroppo è intrinseco nel genere umano voler dominare le cose. Sarebbe fantastico se riuscissimo a traslare tutto questo e semplicemente abitare un luogo, o essere abitati. Non ce la facciamo, perché siamo una specie troppo aggressiva, ed è un gran peccato. Anche tra i vegetali ci sono delle guerre, ma alla fine fa tutto parte di una legge o un fattore naturale. Mentre noi invece andiamo proprio contro natura, e la cosa terribile è la grande volontà di potenza che trasmettiamo in ogni azione.
Comprendo questa cosa perché è nostra ed è innata, ma deve arrivare il momento che qualcosa cambi. Se ci pensi, tutto questo capita in una situazione in cui mancano le risorse, e non abbiamo né la fantasia né la poesia di risolvere quel problema. Invece deve essere un nostro compito non rompere gli equilibri quotidianamente. Ogni cosa parla, e se tu ascolti questa alterità ne trai giovamento. Non lo dico nel senso più romantico del termine. È capitato che ne parlassi nelle mie canzoni, ma credo che prima o poi dovremo fare i conti con questa cosa.
In questo album tratti anche il tema della sofferenza. Venti anni dopo, il messaggio è sempre quello, si è rinnovato oppure si è trasformato?
La percezione che ho io della sofferenza è questa: la sofferenza è direttamente proporzionale al potere con cui possiamo risolvere i problemi. All’epoca non ero pronto a trovare una soluzione, ma poi questa soluzione mi si è palesata davanti. Alcune cose succedono anche così. La vita succede. A volte abbiamo la fretta che alcune cose succedano o non succedano. Il preoccuparsi. Ma sono anche d’accordo sul fatto che la persona cambia e di conseguenza cambiano le cose intorno a essa, o perlomeno cambia pensiero. Vent’anni fa non lo capivo. Adesso l’ho capito. Meglio tardi che mai.