Sport
“Metti la cera, togli la cera”
A Parma è nato il progetto Daimon, dove sport, arte e sociale si uniscono: ne abbiamo parlato con Leon Bozzini, uno dei fondatori
A cura di
Lorenzo Marsicola
Immagini di
Associazione Daimon
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A Coenzo, provincia di Parma, da un anno è attivo il progetto Daimon. Il progetto comprende corsi di arti marziali, improvvisazione e arte, con l’obiettivo di offrire a ragazzi e ragazze di Parma e provincia un punto di riferimento, per apprendere nuove discipline, ma anche e soprattutto per crescere e imparare qualcosa di se stessi. In occasione di un evento aperto al pubblico lo scorso 21 ottobre ne abbiamo parlato con uno dei fondatori, Leon Bozzini.
Allora Leon, cominciamo con una domanda generica: come nasce e che cos’è il progetto “Daimon”?
Il progetto Daimon nasce da un’idea mia e del mio collega Andrea Bisaschi, esperto di difesa personale. L’idea era quella di riproporre il modello di educazione così come lo intendevano nell’antica Grecia, ossia: attività fisica, ginnasio, in particolare lotta e pesistica, ma senza vincoli. Per “senza vincoli” intendo la volontà di adeguarsi alle esigenze dei nostri allievi, quindi un’educazione che si adatti all’individuo che ha di fronte. L’obiettivo è unire attività fisica, intensa, e attività culturale/ricreativa, quindi legata ad ambiti artistici.
Il progetto è aperto a tutti, ragazzi/e italiani/e e stranieri, ed è gratuito. Tutto ciò è stato possibile grazie ad un bando di Credit Agricole che abbiamo vinto l’anno passato; in particolare i finanziamenti arrivano da Think Big, una branca della banca che si occupa di sostenere idde come la nostra. Aggiungo che per proseguire dovremo necessariamente trovare altri sponsor che aderiscano al progetto.
Come mai avete sentito questa necessità?
Inutile nascondersi, la scuola italiana è in difficoltà da questo punto di vista. Non sta certo a me e neanche mi compete stare qua a enumerare i vari problemi, ma almeno per quello che riguarda la nostra zona, gli insegnanti sono pochi e spesso mal pagati. Oltre a ciò, molti alunni sono stranieri, che spesso non conoscono la lingua, e non hanno nessun tipo di supporto. È necessario alfabetizzare i ragazzi, senza però togliergli la concentrazione, la passione e la possibilità di fare attività fisica, spendendo le proprie energie. Per “alfabetizzare” intendo questo: quando si impara un’arte marziale, si apprende appunto un’arte. Lo stesso vale se si impara a suonare uno strumento, o a fare improvvisazione: il ragazzo non sta solo apprendendo una disciplina, ma sta lavorando con un linguaggio nuovo. Il punto è che noi vogliamo che i nostri allievi imparino “a imparare”.
Così facendo crediamo che questo lavoro possa essere loro d’aiuto al di fuori dell’ambito del nostro progetto, nella vita reale, sia a casa che a scuola. Questo ovviamente è l’obiettivo, quello che possiamo fare concretamente è mettere a disposizione il nostro tempo e le nostre energie, e in maniera minore la nostra esperienza e la nostra capacità di indirizzare gli allievi. Non scopriamo nulla di nuovo, è quello che teoricamente dovrebbero fare le istituzioni educative.
Beh se c’è un ambito carente nell’istruzione pubblica nel nostro paese, certamente è quello sportivo
Allora, ora io non voglio fare troppi paragoni, spesso anche futili, ma pensiamo agli Stati Uniti. Loro non hanno le nostre stesse basi culturali, hanno una storia relativamente breve come nazione, e quando escono di casa non trovano la chiesa del paese che magari ha al suo interno un quadro del Correggio o del Parmigianino. Ciò da un lato li rende ai nostri occhi “ignoranti”. Detto questo, il loro sistema scuola-sport, pur con dei limiti, funziona meglio. Certo, ci sono varie motivazioni: più spazio, più disponibilità economica, più forza lavoro. Il loro sistema educativo, in soldoni, ti prepara al mondo professionale, e permette di accedervi subito dopo l’università. Tanti ragazzi vanno all’università grazie a borse di studio ottenute per meriti sportivi. Così facendo, nel momento in cui il ragazzo non dovesse avere successo nella sua disciplina, avrà comunque una soluzione di ripiego, avendo ottenuto un titolo di studio.
E anche la storia che l’istruzione è gratuita non regge, perché dalle elementari fino all’università i costi sono comunque alti, le borse di studio poche e non sempre accessibili a tutti. E per quanto riguarda il lato sportivo, mancando quasi totalmente, priva i ragazzi di una parte fondamentale dell’educazione, ossia il confronto leale con l’avversario, all’interno di un regolamento che, ricollegandoci a quanto detto prima, è centrale nella formazione di un giovane.
Vedendo l’evento di oggi, mi è sembrato che fra gli allievi del corso di arti marziali ci fossero ragazzi di ogni tipo, mentre spesso questo genere di discipline vengono etichettate come “violente”. Che ne pensi?
Il discorso anche qua è ampio. Certo, c’è chi comincia perché vuole fare il grosso, chi vuole impressionare gli amici, quelli che definiresti dei bulli. Ma il punto non è tanto chi inizia, ma chi prosegue. Nel momento in cui il bullo si trova di fronte alla realtà di una disciplina che non permette la violenza, se non incanalata attraverso regole e tecniche, spesso rivela una parte di sé che contraddistingue molti ragazzi definiti violenti, ossia la codardia o la paura. Per quanto le arti marziali siano viste come uno sport violento, sono l’esatto opposto. Certo, l’obiettivo è sconfiggere l’avversario, ma non con il mero uso della forza, ma attraverso una tecnica e all’interno di regole precise.
Questo fa sì che un ragazzo impari a gestire la propria esuberanza fisica, capisca come applicarla correttamente. Inoltre, un incontro di MMA ad esempio permette anche di capire le conseguenze dell’utilizzo della violenza. Perché quando combatti, vieni colpito, e quel dolore resta bene in mente. E cosa più importante in assoluto, al termine di un incontro ci si scambia sempre un segno di rispetto ed è una reazione quasi naturale, vi assicuro: dopo un incontro di diversi round, in cui ne dai e ne prendi senza risparmiarti, arrivi alla fine praticamente stremato, e non hai più voglia di colpire ancora il tuo avversario; anzi, la sensazione che provi è totalmente opposta, vorresti quasi abbracciare il tuo rivale. Che ci crediate o no, finisci quasi per conoscere il tuo avversario dopo averlo affrontato lealmente, crei una specie di rapporto non verbale.
Concludendo, vorrei chiederti di più sul progetto in sé, e da dove viene la decisione di impiantarlo qua a Coenzo, e non a Parma?
Allora per quanto riguarda la seconda domanda, banalmente a Parma non abbiamo trovato uno spazio dove svolgere le nostre attività. Invece la parrocchia di Coenzo o si è subito detta disponibile a lasciarci utilizzare i loro spazi per portare avanti il nostro progetto. Anche se recentemente abbiamo trovato un accordo anche con un centro sociale a Parma, per cui puntiamo a portare anche là le nostre attività. Inoltre, ha anche un valore simbolico. Purtroppo, negli ultimi anni qua a Parma abbiamo avuto un po’ di problemi di criminalità giovanile. Spesso capitano episodi di violenza la sera, anche nel centro della città. E molti dei protagonisti vengono dalla provincia, anche da qua, da Coenzo. Il nostro obiettivo è creare uno spazio dove i ragazzi possano appoggiarsi e apprendere, come già ho detto. Spesso sono ragazzi emarginati, o che non hanno alcun supporto, né in famiglia né a scuola. Ma come dicevo non sono ragazzi cattivi, tutt’altro. Hanno solo bisogno di imparare a gestire la propria energia.
Per quanto riguarda la nostra organizzazione, siamo 7 soci fondatori, di cui due insegnanti di arti marziali, tra cui io. Un insegnante di improvvisazione Rap/Hip-Hop, uno di fumetto e arti plastiche. Cerchiamo di dare ai nostri allievi la possibilità di lavorare non solo sul linguaggio del loro corpo, ma anche sul loro lato artistico.