Makanai

Cinema

Makanai: ritratto di un’utopica comunità femminista

La serie Netflix ci racconta il valore della sorellanza nel Giappone delle Geishe

A cura di

Caterina Biondi

Immagini di

Sara Arbuscelli


☝🏻 Condividi se ti è piaciuto!

Makanai è una serie tv autoconclusiva diretta dal regista di Shoplifters – Un affare di famiglia, Hirokazu Kore’eda, scritta da Mami Sunada e tratta dal manga Maiko-san Chi no Makanai-san di Aiko Koyama, che sbarca su Netflix nel gennaio del 2023. La scopro in una sonnolenta vacanza al mare con i miei genitori e diventa presto il nostro rituale nelle quiete serate a Marina di Massa. Guardando gli ultimi due episodi sull’aereo di ritorno a Londra trattengo le lacrime di commozione e mi porto con me un po’ di quella tranquillità vacanziera e del calore che la serie mi ha regalato. 

La storia si concentra intorno alle vicende di due ragazze di sedici anni, Sumire e Kyio, che si trasferiscono a Kyoto per diventare Geishe – danzatrici e artiste tradizionali – presentandosi a una delle case di apprendiste per cominciare il loro percorso. Durante la storia impariamo che nel quartiere di Gion, ci sono diverse “case” di apprendiste e giovani geishe (maiko). Nell’area risiedono anche le donne che hanno finito il training (geiko) e altri lavoratori di questa industria tradizionale: le madri a capo delle case e gli uomini che vestono le danzatrici.

Immediatamente ci immedesimiamo nelle giovani protagoniste e con loro ci immergiamo nell’atmosfera di Kyoto e di casa Saku. Mentre Sumire subito si distingue come apprendista promettente, Kyio fa della sua passione per il cibo una carriera diventando la makanai (cuoca) della casa. Nella serie tutto scorre, con un ottimismo stoico in cui ogni contrattempo trova velocemente un nuovo incastro e acquisisce senso, senza turbare, ma trasformando la storia, creando qualcosa di nuovo. Abituata a serie con continui colpi di scena (soprattutto quelle su Netflix), ad ogni momento positivo mi aspetto che arrivi il contraccolpo: la morte di qualcuno, il bullismo tra le ragazze, l’abuso da parte di uno degli adulti, a volte uomini, che si trovano a stretto contatto con le giovani. E ogni volta le mie aspettative vengono piacevolmente deluse.

Non per questo i personaggi risultano piatti, ognuno ha le proprie passioni, stranezze, fantasie. Ognuno ha un modo particolare di relazionarsi che viene però capito e accettato da tutti. Anche i personaggi più strani come Kyio, con la sua passione ossessiva per il cibo, che la porta a dire cose del tipo “sono innamorata della mia padella”; o l’esuberante Yoshino tornata per scombinare le carte in regola; o la scomposta nuova apprendista, da tutti gentilmente definita “molto entusiasta”; vengono non solo accettati, ma accolti in una famiglia che sembra avere come più importante principio la comprensione dell’altro.

Tanto che quando a Kyio viene detto che la sua prestazione è troppo bassa per rimanere nella casa, Madre Azusa si chiede cosa possa fare per la ragazza, come tirare fuori il suo talento. Si concentra quindi non sul fatto che la ragazza è carente nella disciplina che era lì per studiare, ma a capire cosa, come educatrice, può ispirare e tirare fuori da lei. 

Per me, che amo il verismo e mi nutro di scene crude alla Irvine Welsh, la prima reazione a questo genere di racconto è lo scetticismo: “Vabbè ma nella vita reale le cose non andrebbero mai così”. Ma in questo caso Makanai mi ha incantata. Sarà forse il filo conduttore del cibo e del cucinare, per cui il ruolo di chi cucina diventa un po’ il tramite attraverso cui questi conflitti vengono velocemente sbrogliati e il cibo che Kyio prepara la metafora per tutta la serie.

Ci viene rivelato infatti all’inizio, dalla precedente Makanai, che chi ha questo ruolo ha l’arduo compito di cucinare cibo “normale”, qualcosa che accontenti il palato di tutte le ragazze che provengono da parti diverse del Giappone. Quello che Kyio riesce a fare è creare un cibo “normale” che sia però “buono” e “rassicurante” e scaturisca emozioni nei personaggi che lo mangiano, emozioni che li muovono e li cambiano. E così anche questa serie, come un classico dashi, riesce ad accedere a una profondità senza aver bisogno di usare forti spezie o abbinamenti azzardati. 

Mi viene in mente il capitolo sulla sorellanza del libro Comunione di bell hooks. La scrittrice cita Marilyn Frye che parla dell’importanza della comunità per la crescita e la realizzazione spirituale di una donna:

“Per fare la differenza… le donne devono fare cose impossibili e pensare pensieri impossibili, e questo può solo avvenire in comunità. Senza una comunità di senso, l’individuo non può afferrare le proprie intuizioni radicali, diventa confusa, si scorda ciò che sapeva… Ci incitiamo a vincenda a fare atti creativi di coraggio, immaginazione e memoria, ma sono letteralmente impossibili senza una comunità di donne che riconosce e permette l’iniziativa delle donne”.

È come se in qualche modo Makanai diventasse rappresentazione di questa comunità utopica femminista.

Quella di Makanai è una comunità di donne dove tutti si supportano e lavorano per la felicità l’una dell’altra. Dove ci si osserva e si comprende i bisogni dell’altro prima ancora che gli venga data voce. In cui si comunica, si parla, si chiede: “Come stai?”, “Sei contento?”, “Hai cambiato idea?”. È una comunità di donne, ma ci sono anche degli uomini, non fondamentali, ma alla pari. Gli uomini hanno il loro ruolo e non disturbano la quiete della comunità, anzi, contribuiscono a questa quiete in modo empatico e sano. 

Come afferma bell hooks, una donna all’interno di questa comunità probabilmente si troverà davanti a più conflitti, scelte, momenti difficili, ma avrà “accettazione di sè, integrità e la volontà di fare ciò che è meglio per il proprio benestare” strumenti fondamentali per avere la forza di entrare nel “cerchio dell’amore”. E forse è proprio Makanai il manifesto femminista di cui non sapevamo di aver bisogno. Penso a una delle scene dell’episodio finale, quando Tsurukoma vedendo la dedizione di Sumire, rivela a Madre Azusa i suoi pensieri “Se lei, così talentuosa, si impegna tanto, cosa dovrebbe fare una come me?”. La risposta di Azusa è incoraggiante, ma vera “Non tutti possono diventare come lei, ma tu puoi concentrarti a essere il tuo tipo di maiko”, ma Tsurukoma risponde che non può continuare a crescere lì, deve andarsene per trovare la sua passione. 

L’osservazione del talento di Sumire non porta Tsurukoma ad affliggersi nell’invidia, ma le permette di osservare ciò che anche lei desidera, una passione che la infiammi. Il supporto della comunità emerge nella sua maturità di accettare che la sua strada non è quella e nell’eccitazione di realizzare che davanti a lei si dispiegano altre possibilità. In un contesto rigido, dove la disciplina porta all’eccellenza e non tutti sono tagliati per eccellere, vediamo rappresentata una storia dove delle donne si supportano a vicenda riconoscendo il talento di ognuna, celebrandosi, definendo chi sono grazie al caloroso scambio e, crescendo, elevandosi ed elevando chi le circonda.

Lascia un commento

Torna in alto