Leonardo Caffo

Politica e Società

Leonardo Caffo e la sottile violenza degli intellettuali

Alla luce dello scandalo che ha coinvolto il filosofo, quali conclusioni possiamo trarre come esseri umani?

A cura di

Nicolò Guelfi

Immagini di

Iacopo Melio


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Parafrasando il famoso incipit di Anna Karenina di Lev Tolstoj: “ogni intellettuale felice è uguale agli altri, ogni intellettuale infelice è infelice a modo proprio”. Lo scandalo che ha coinvolto il filosofo Leonardo Caffo, acuitosi esponenzialmente nelle ultime settimane per via della sua partecipazione, poi ritirata, alla fiera letteraria “Più libri più liberi”, diretta da Chiara Valerio, è un capitolo triste.

Lo è, ovviamente, per le persone coinvolte direttamente, per gli organizzatori e i partecipanti all’evento, ma lo è più in generale per il mondo della filosofia e della cultura e per chi crede in un valore morale di quest’ultima. Un capitolo in cui l’ultima pagina l’ha scritta il Tribunale di Milano, condannando il filosofo siciliano Caffo a quattro anni di reclusione per i maltrattamenti e le violenze inferte alla ex compagna.

I fatti, le misure cautelari e la sentenza comminata a Caffo

Passare dal condizionale all’indicativo non è mai un’operazione priva di rischi, ma data la pronuncia della corte è cosa necessaria. Secondo quanto ricostruito dai legali e deliberato dalla giudice in primo grado, il filosofo Leonardo Caffo è stato condannato a quattro anni di carcere per maltrattamenti e lesioni gravi nei confronti della sua ex compagna. Lo ha deciso la quinta sezione penale del Tribunale di Milano, presieduta da Alessandra Clemente.

I giudici hanno anche disposto per Caffo una provvisionale di 45mila euro e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. La pubblico ministero Milda Milli aveva chiesto una condanna a quattro anni e mezzo di carcere e di non riconoscere le attenuanti generiche all’imputato, il quale avrebbe avuto un comportamento processuale “volto a pulire la propria immagine continuando a screditare la parte offesa”. I giudici hanno escluso, invece, due delle tre aggravanti contestate (una dal reato di maltrattamenti sulla ex compagna dal 2020 al 2022 e l’altra per le lesioni).

Le dichiarazioni di Caffo

Caffo ha dichiarato: “Spero ancora che non ci sia violenza nei confronti delle donne e non vedo nessuna ragione per contestare una battaglia così sacrosanta. Va bene colpirne uno per educarne mille: io sono stato colpito, speriamo che adesso educhino anche gli altri mille”. Ha però aggiunto che con i suoi legali ricorrerà in appello per raccontare “un’altra verità” (qualunque cosa significhi). Quelle ulteriori su Michela Murgia e il “non essere un filosofo di sinistra” le risparmio nel rispetto dei morti.

La decisione del tribunale sorprende per la sua severità, anche se la pena richiesta dall’accusa era ancora più alta, ma non è inaspettata. Quando è stata aperta l’indagine a Caffo era stata comminata la misura cautelare di allontanamento dal tetto coniugale, la quale si applica solo laddove si riscontri il legittimo pericolo del verificarsi o del reiterarsi di violenza o situazione di pericolo per la parte offesa, ovvero la ex compagna Carola Provenzano.

L’affaire “Più libri più liberi”

La situazione si è acuita diventando pane per il dibattito pubblico per la partecipazione mancata del filosofo alla fiera “Più libri più liberi” (che oggi suona abbastanza ironico poiché probabilmente il protagonista i prossimi testi potrebbe leggerli in carcere) e per le dichiarazioni inappropriate della direttrice Chiara Valerio.

Non mi addentro in questa materia perché la ritengo, di fatto, inutile e sterile. Valerio è stata accusata di ipocrisia per aver attaccato il presidente del Senato Ignazio La Russa in merito alle accuse di stupro mosse al figlio e per aver, in seguito difeso un uomo accusato di violenza domestica. L’unica cosa da dire è che il fatto che abbia sbagliato in secondo luogo non vuol dire che avesse torto in primo, e l’altra è che chi punta il dito non si è mai trovato nella posizione di dover salvare un grande evento che senza ospiti e spettatori non potrebbe esistere. Insultarla e boicottare la fiera non saprei dire quale pregio o contributo positivo abbia portato al dibattito (considerando che a farne le spese sono stati i piccoli editori presenti che erano del tutto estranei alla vicenda).

Le opinioni, la violenza di genere, il ruolo dei filosofi

Dopo aver esposto brevemente i fatti, è importante menzionare un aspetto: il caso Caffo è singolare perché parla di una persona “nota”, ma solo all’interno di un determinato ambiente intellettuale o di persone genericamente interessate alla cultura e al dibattito accademico/filosofico italiano.

Questo aspetto può sembrare di secondo ordine ma è in realtà centrale, poiché anzitutto si parla di una cerchia abbastanza ristretta in cui le persone si conoscono tra di loro, e in secondo luogo si tratta di persone che esternamente vengono conosciute attraverso le proprie idee, i propri pensieri e le proprie parole. Non si può, in effetti, fare il filosofo o l’intellettuale come si fa il ragioniere o l’idraulico, ovvero con un totale distacco tra la propria professione e la propria persona. Detto semplice: Marx o Nietzsche non avrebbero potuto dire le loro cose senza pensarle, un idraulico può cambiare i tubi a prescindere da ciò che pensa in privato. Prima delle accuse di classismo, chiariamo una cosa ovvia: c’è più bisogno di bravi idraulici che di filosofi nel mondo.

Il caso singolo che ha visto Caffo protagonista è, dal punto di vista giudiziario, brutto, ma tutto sommato ordinario. Cosa c’è di più comune oggi di un uomo che picchia una donna, per giunta sotto il tetto di casa? La statistica ci aiuta affermando che la maggior parte delle violenze e dei femminicidi nel nostro Paese avvengono tra le mura domestiche. L’aguzzino è il coniuge, il padre, il fratello, un parente prossimo, il fidanzato, una figura che normalmente dovrebbe avere cura e volere il bene della donna con cui ha un legame, e che invece ne diventa il persecutore.

Gli intellettuali, per le loro idee

Per quanto brutta, questa è la realtà che fotografiamo oggi e che, se non ci piace, dovremmo impegnarci tutti per cambiare. Casomai, potremmo riflettere sul fatto che l’autore di una violenza non è mai un cattivo stereotipato da fumetti, ma è una persona comune, identica a noi, spesso invisibile o insospettabile, a volte uno dei nostri cari.

L’ulteriore layer che rende la vicenda interessante, e forse ci permette di parlare meno di Caffo e più di noi, è la posizione dell’imputato: quella di filosofo. Chi è un filosofo oggi? Quali sono i diritti e i doveri a cui è chiamato? Qual è la sua posizione all’interno del contesto pubblico e privato? Per provare a rispondere partirò dalla mia esperienza personale.

Il mio percorso

Io ho studiato Filosofia. Sono l’unico nella mia famiglia (almeno che io sappia) ad averlo fatto, e, a giudicare dall’affollamento delle aule universitarie che ho visto negli anni, sono abbastanza persuaso che la mia condizione non sia isolata. Filosofia è una scelta di studi inattuale, controtendenza, non priva di controversie, incompatibile con il mercato del lavoro e il cui know how risulta sempre più sfuggente anche agli addetti ai lavori. Non c’è da stupirsi che sempre meno persone decidano di intraprendere questo percorso.

Alla fine del mio ciclo di laurea triennale a Siena, dissi a mio padre: “Questa laurea è perfettamente inutile, ma ti assicuro che non è stato facile prenderla”. Insomma, tanta spesa e poca (o nulla) resa. Già in quella prima fase del mio percorso avevo percepito un aspetto che il me stesso di 19 anni non avrebbe mai potuto concepire da solo: che le persone che studiano cose bellissime e possiedono una grande e affascinante cultura possono rimanere degli esseri umani terribili. Un po’ per masochismo e un po’ per la mancanza di qualsiasi opzione anche solo lontanamente migliore, ho deciso di proseguire con il percorso magistrale a Torino. Qui ho incontrato Leonardo Caffo.

Caffo e l’antispecismo

All’epoca non conoscevo le teorie del filosofo catanese formatosi a Torino, ma ero molto incuriosito sia dalla sua giovane età (in Italia, nel mondo della filosofia, dell’università e della cultura, se hai meno di 50 anni sei praticamente equiparato a un feto per considerazione e diritto di parola) e dal fatto che esponesse una prospettiva per me piuttosto inedita: quella dell’antispecismo, del superamento della centralità dell’umanesimo, il rifiuto della violenza verso gli animali in una prospettiva che coniuga insieme l’ontologia di Maurizio Ferraris (suo maestro) e le teorie di un ritorno pacifico alla natura ispirate a Walden di Henry David Thoreau. Lessi il saggio Fragile umanità del 2015 e lo trovai bellissimo, capace di afferire a scuole di pensiero diverse e di metterle insieme in un’opera piccola ma densa.

Le idee, le azioni e la dissonanza

Stiamo semplificando, come è ovvio che sia, ma il messaggio che vuole passare è che una persona che crede tanto in teorie che hanno a che fare con il rispetto della vita non umana risulta incompatibile con ogni forma di violenza. Se ogni filo d’erba ha ragione di stare al mondo, se ogni essere animale ha il diritto di vivere libero al di fuori di allevamenti intensivi e mattatoi, se dobbiamo ripensare le nostre vite e le nostre città non in funzione delle nostre esigenze ma del pianeta in cui viviamo (che, lo specifico, per me sono tutte cose giuste e sacrosante), come si fa a finere a processo accusati di aver insultato, diffamato, picchiato, deliberatamente e ripetutamente, la madre di tua figlia?

Ovviamente io non ho la risposta a questa domanda. Sarei più felice se non me la fossi neanche dovuta porre. Si tratta poi di un problema di per sé drammatico, perché rievoca in me l’idea della tragedia greca in cui tanto gli esseri umani più nobili quanto le divinità più potenti sono sottoposti a un gioco di forze e pulsioni contro le quali sono incapaci di reagire.

Questo discorso non vuole essere in alcun modo apologetico verso un uomo che, secondo giudici, avvocati e periti, ha commesso un crimine odioso e socialmente preoccupante come la violenza di genere, ma vuole farci riflettere su una cosa: gli intellettuali non sono migliori di noi in quanto sanno le cose, gli intellettuali possono essere un esempio in quanto sanno mettere insieme dei punti.

I filosofi non sono brave persone: da aristotele a Voltaire

La storia è piena di figure controverse che tuttavia sono rimaste nel pantheon del pensiero: Aristotele possedeva schiavi, che considerava oggetti per loro natura, Machiavelli sosteneva che la fortuna fosse donna e per questo fosse giusto batterla per tenerla sotto, David Hume ed Hegel sostenevano convintamente che i “negri” fossero persone inferiori (e già dovremmo essere contenti che fossero “persone” e non “cose”).

Nulla in confronto a Voltaire, padre dell’Illuminismo francese, il quale era convintamente antisemita e islamofobo, definiva i neri “animali” e i mulatti “razza bastarda”.

Da Schopenhauer a Sartre

Continuiamo con Schopenhauer, che era un uomo invidioso, crudele, oggettivamente cattivo, che faceva angherie terribili alla sua stessa domestica, tra cui farla cadere dalle scale; Heidegger era, senza farne un così grande mistero, un convinto nazista antisemita, oltre che un professore che amava intrattenere rapporti “privati” con le sue studentesse, tra cui Hanna Arendt.

Perfino Sartre, che pure lui aveva un modo interessante di interpretare le relazioni sentimentali (chiedere a Simone De Beauvoir per credere) non ha mai nascosto il suo pieno appoggio a Stalin anche quando hanno cominciato a emergere le prove di cosa accadeva nei gulag e nei pogrom dell’Unione Sovietica. Molto più in piccolo e molto più recentemente, è di febbraio 2024 l’accusa di molestie sessuali al docente di Estetica dell’Università di Torino Federico Vercellone ai danni di una sua studentessa.

Gli intellettuali, per le loro azioni

Tutta questa carrellata, oltre ad essere molto divertente, serve. Non per sfoggio di cultura, ma al massimo per farsi una risata di fronte a quell’orrore inaudito che è la storia della filosofia. Al netto di chi semplicemente interpretava un pensiero dominante all’epoca e quindi (con una retorica che purtroppo sembra essere cara alla destra del nostro Paese) chiameremmo semplicemente “figlio del suo tempo”, quello che vorrei vedere oggi, in un mondo pieno di liberi pensatori, è qualcuno che sia in grado di difendere un’idea, una posizione, una condotta che applica anche nella propria vita privata contro il suo interesse ma lo fa perché la trova piena di verità e giustizia.

I filosofi non sono santi: non vanno venerati e non devono per forza dare precetti morali. Se c’è una cosa, però, che potrebbero fare, quelli vivi, per dare prova della propria legittima presenza in questo mondo è cominciare a comportarsi nella vita di tutti i giorni come o meglio degli altri, non pensando di essere al di sopra delle regole solo per il fatto di aver letto o scritto qualche libro, e magari cominciando ad applicare su se stessi un po’ di quel che scrivono.

Se la filosofia diventa solo teorico esercizio di pensiero, mero esperimento mentale, simulacro di una condizione fittizia da sviscerare da ogni lato, e mai consiglio per provare a essere una persona, non dico migliore, ma in maggiore accordo con se stessi e gli altri, allora tanto vale metterla in soffitta. Già non serviva a niente, ma così è anche brutta da vedere.

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