La Chimera

Cinema

La Chimera: i bizzarri tombaroli che riportano alla luce il cinema italiano

Il nuovo film di Alice Rohrwacher, dopo un inizio in sordina, è riuscito a conquistare il pubblico tramite il passaparola e i social

A cura di

Mattia Migliarino

Immagini di

Josh O’Connor


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“Agli archeologi, custodi di ogni fine”

Dedica iniziale di La Chimera

Nell’ultimo capolavoro di Alice Rohrwacher, La chimera, i temi della vita e della morte, del passato e del presente, dell’antico e del moderno s’intrecciano in un racconto avvincente. Mentre nel precedente film della regista, Lazzaro felice del 2018, i personaggi sembravano quasi immuni al fluire del tempo, in questa nuova opera, che ha avuto molta risonanza sui social (soprattutto dopo l’appello della stessa regista e del protagonista Josh O’Connor), emerge invece un’intrigante consapevolezza dell’importanza temporale che coinvolge tutti i protagonisti. Il contesto degli anni ‘80 diventa così lo sfondo in cui si districa la storia di un gruppo di tombaroli, esperti nel saccheggiare reperti etruschi nell’Italia centrale (il film si ambienta genericamente nella regione della Tuscia) per rivenderli al mercato nero. 

Tra di loro si distingue Arthur, interpretato da Josh O’Connor, un sensitivo capace di rivelare i segreti sepolti grazie al suo dono di rabdomante. La “chimera”, infatti, non è altro che lo stesso Arthur quando si avvicina a una tomba da profanare, piegato su se stesso come se avesse quasi la testa in giù. Rohrwacher mette in scena e co-scrive un film tanto nostalgico quanto malinconico che unisce il folklore, le tradizioni italiane e l’arte in una costante danza con lo spettro della modernità che sembra volersi prendere tutto quanto, anche ciò che è sepolto nei cunicoli delle tombe etrusche.

L’intersezione tra il saccheggio dei reperti antichi e l’impegno contemporaneo di preservare e dare nuova vita a luoghi abbandonati è una dinamica interessante che emerge nel film. Se i tombaroli scavano nel terreno alla ricerca di pezzi di storia per riportarli alla luce, c’è un’altra prospettiva incarnata dal personaggio di Italia, interpretata da Carol Durante, che invece rappresenta la speranza e la voglia di trasformazione.

La donna deciderà infatti di ristrutturare una vecchia stazione per creare uno spazio in cui le persone possano vivere e trovare un rifugio. Questo contrasto tra i due approcci al tempo e alla storia, da un lato il recupero del passato attraverso il saccheggio per scopi personali e dall’altro la volontà di riutilizzare e dare nuova vita a strutture abbandonate per il benessere e la crescita sociale, è un argomento molto importante del film.  

Il desiderio di valorizzare il patrimonio storico e culturale si scontra in questo senso con la necessità di adattarsi e innovare, evidenziando quindi il conflitto tra conservazione e cambiamento, tradizione e progresso tipico di quegli anni. La chimera si configura così non solo come un ritratto sia dell’antico che del moderno, ma anche come una riflessione sulla coesistenza di tradizione e innovazione nel tessuto sociale e culturale contemporaneo.

Delicato e leggero, il film è pieno di espedienti tecnici e visivi, come per esempio l’alterazione della pellicola o la rottura della quarta parete, le immagini suggestive fanno sentire lo spettatore come se si trovasse sempre sospeso tra sogno e realtà, tra passato e presente. Ma è anche un film d’amore che si manifesta come una vera dichiarazione avvolta in un velo di pura nostalgia.

L’amore ritratto nel film è collegabile forse ai cimeli etruschi, qualcosa sepolto nella memoria ma che trova l’opportunità di riemergere nella vita o nella morte, un quadro in cui il sentimento, antico e intramontabile, può essere riscoperto e rivalutato, adattarsi alle nuove circostanze, proprio come gli artefatti che emergono dal terreno per prendere di nuovo vita.

L’uso simbolico del filo rosso (un rimando forse al filo di Arianna del mito di Teseo e del Minotauro) fin dai primi fotogrammi sembra voler sottolineare quel legame profondo offrendo agli spettatori un’immagine visiva e potente della persistenza di un sentimento che, anche attraverso il tempo e lo spazio, continua a persistere.

La chimera offre quindi tanti spunti differenti, intreccia abilmente la preservazione del patrimonio storico con la critica al mercato dell’arte ambiguo e spesso predatorio. Una narrazione che si concentra sul contrasto tra l’epoca rurale intrisa di tradizioni e l’avanzata del progresso, evocando quella che Pasolini in un suo famoso articolo chiama “la scomparsa delle lucciole”, un simbolo di perdita irreparabile e senza possibilità di ritorno.

Dal mio punto di vista, La chimera può essere inserita in quell’insieme di titoli che il professor Vito Zagarrio definisce della “Nouvelle Vague italiana” (prendendo spunto dalla famosa corrente francese degli anni ’60) sottolineando come il cinema nostrano del nuovo millennio stia attraversando da qualche tempo una grande fase di rinascita: un eccezionale numero di film, innovativi dal punto di vista tecnologico, autoriale, tematico e di gender, sta ravvivando la scena cinematografica del nostro Paese. 

Questo film incarna tutte queste caratteristiche, offrendo al pubblico uno spettacolo con una trama semplice ma originale, capace di affrontare temi tanto individuali e personali quanto universali. Il bizzarro gruppo di tombaroli riporta alla ribalta il cinema italiano, con la speranza che questa rinascita possa diventare il punto di riferimento estetico per le future produzioni, pur consapevoli che queste potranno essere reinterpretate da futuri autori, proprio come le reliquie dell’epoca etrusca vengono saccheggiate dai tombaroli. Insomma, da qualsiasi punto di vista vogliamo vederlo, stiamo pur sempre parlando della storia di una civiltà che inevitabilmente scavalca  e sostituisce quella precedente.

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