Giuditta

Letteratura

Io sono Giuditta

A cura di

Gianfranco Tomassetti

Immagini di

Gianfranco Tomassetti


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“Aprite le porte!” urlarono dalle immani mura della città di Betulia.

Terribili follie ammorbavano la mente di quella povera che correva, passi caotici l’uno dopo l’altro, cadeva e si rialzava, era Abra.

Oro e sangue era divenuta la sua pelle, nessun colore o sembianza di quello che era in origine, solo scavando dentro quella disgraziata corsa, dietro quella dolorosa figura avrebbero trovato quella che in realtà era la principessa della ricca città di Betulia.

Abra, testimone del male, entrò da quelle porte salvifiche e con urla di terrore disse “Chiudete le porte e non apritele più! La regina, mia madre, è morta, chiudete o il nostro mondo morirà con lei!”. Niente di principesco era in quella rauca voce.

La giovane si consolò nel vedere che il passaggio con l’esterno era ormai chiuso, una folla di persone si radunò attorno a lei attendendo con ansia di sapere cosa fosse successo. Abra salì le scale che portavano sulle colossali mura e cominciò la sua storia: “Io sono Abra!”

“Io sono Giuditta, regina di Betulia, colei che fu promessa, madre dell’ultimo popolo beato. Io servo il Cielo, e ora, avanti la mia città, ci sono forze malefiche che vogliono invaderci: Oloferne, il più dannato tra i peccatori. Una leggenda aleggia intorno alla corona di Betulia, si dice che il primo re, Mida, ottenne poteri divini, grazie ai quali avrebbe eretto la città tramutando la sabbia in oro. Il mito vuole che quei poteri siano arrivati a me e si dice che l’unico modo di passare la reggenza ad un’altra linea di sangue sia quello di tagliare la testa a chi porta la corona. Vogliono la mia testa, vogliono Betulia, ma avranno solo sabbia”.

“Figli di Betulia! Unici al mondo a non conoscere la dannazione, pregate per me, vostra madre, affinché io trovi la forza per difenderci dal male! Consolate il sacro oro che teme di essere sottratto alla sua casa! Stringetevi l’un l’altro e siate pronti! Noi siamo il futuro del mondo! Oggi, io, Giuditta, andrò all’accampamento nemico e li salverò dai loro stessi cuori”.

“Io sono Abra, figlia della Salvatrice, erede al trono dell’oro, colei che si cingerà della leggenda. Andrò con mia madre nell’accampamento nemico, guarderò il bene trionfare sul male, sarò testimone del miracolo!”. Giuditta, austera nell’aspetto, camminava dolcemente sulle dune roventi, Abra dietro di lei sorrideva all’idea di assistere. La regina proferì parola solo una volta lungo il tragitto: “Abra sii pronta, non sempre il bene agisce a viso scoperto, si serve di maschere e volti ignoti”.
“Io sono Oloferne, conquistatore di terre, scelto dalla mia città, eroe di coloro che mi seguono. Oggi due donne sono giunte alla mia tenda, donne di bellezza immortale e benevola, dicono di essere le reggenti ed io so per certo che è così poiché tanto amore ha formato quei volti e nessuna menzogna potrebbe mai esser generata da quelle dolci lingue. Le faccio entrare e ascolto quello che hanno da dire”.

“Io sono Oloferne e la donna di nome Giuditta mi osserva, il suo sguardo mi tiene stretto alla sedia, non riesco a muovermi, il mio amore me lo impedisce, non mi avvicino, non mi allontano, resto qui”. “Io sono Oloferne e tanto il mio amore ha offuscato il mio giudizio che solo ora capisco che ormai è tardi”.

Giuditta, decisa, si alzò da tavola, guardò la figlia e disse “Non aver paura, il male degli uomini si annida nel cuore…solo così possono essere salvati”. Neanche la regina sapeva come avrebbe agito, in quel momento però qualcosa le parlò, qualcosa di ancestrale, superiore. Era avanti l’immobile Oloferne e mentre si chinava innanzi a lui, pietosamente lo guardava, con la mano sinistra penetrò violentemente nel petto del peccatore. Urla moribonde, scellerate maledizioni, turbolente parole uscirono da quella bocca che ormai altro non era che la porta dell’inferno. Abra cominciò a piangere come mai nessuno aveva fatto, acqua, vino, lacrime, tutto venne trasformato in sangue, la giovane alzò un momento gli occhi e vide Giuditta estrarre un cuore d’oro da Oloferne. Un attimo dopo tutto l’accampamento non era altro
che urla e sangue, Abra corse via lasciando lì la madre, quel fiume rosso le arrivava fino alle caviglie, ogni cosa era rossa, ogni cosa tranne l’oro delle sue vesti.

“Io sono Abra, figlia del demonio, erede di peccati d’oro, colei che si è cinta di distruzione. Giuditta è morta, mai più riapriremo le porte della città, mai più il male ci toccherà, mai più io rivedrò mia madre, che da sola governi oro e sangue.”

“Io sono Giuditta, e lo sarò sempre anche se tutto quello che di Giuditta era ora non è più. Ho compiuto la mia missione e come io scacciai mia madre anni prima nella visione del “miracolo” ora Abra ha lasciato me e un giorno sua figlia lascerà lei. Io sono Giuditta, colei che senza titolo è rimasta, colei che nella sabbia regna e nel nulla si muove, colei che ora è libera.”.

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