Meritocrazia

Politica e società

L’insostenibile leggerezza della meritocrazia

Il governo Meloni ha voluto dedicare al merito un ministero, ma il concetto stesso su cui si basa è controverso

A cura di

Lorenzo Villani

Immagini di

Braden Collum – Unsplash


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Tra le varie operazioni politiche discutibili, il Governo Meloni rimarrà significativo per una ragione in particolare: la creazione di un ministero dedicato al merito.

Non solo. Come se non bastasse, in tal caso, le italiche qualità politiche dell’esecutivo guidato da Fratelli d’Italia hanno portato a compimento il paradossale accostamento del merito con l’istruzione.

Per quanto possa apparire un’ironica mossa propagandistica, il principio che sottende a tale operazione rappresenta il coronamento di un percorso più ampio. Il caso del ministero dell’Istruzione e del Merito è emblematico.

traguardi uguali, punti di partenza diversi

Come si può parlare di meritocrazia in un contesto in cui la stessa classe studentesca è al suo interno attraversata da disuguaglianze e in cui non tutti partono da uguali punti di partenza?

Come si può parlare di meritocrazia in un Paese in cui, secondo Eurostat, la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente l’istruzione era del 12,7 % nel 2021, contro una media europea del 9,7%?

In una società diseguale la meritocrazia rappresenta il principale sistema di valutazione in base al quale ogni individuo viene catalogato e classificato in relazione ai risultati che ottiene. Ne consegue un ordine sociale che fa delle prestazioni individuali la propria fonte di legittimazione.

Meritocrazia: I risultati come solo obiettivo

Ogni individuo, isolato e collocato in costante competizione con gli altri, valuta se stesso sulla base dei risultati raggiunti. Da tale analisi sono escluse variabili quali il proprio status economico o la propria appartenenza sociale. Ciò che conta è il raggiungimento dello scopo. Costi quel che costi.

Qualsiasi analisi relativa alle disparità di classe è bandita dal ragionamento neoliberista del merito. Gli unici fattori che risultano rilevanti sono l’impegno, la motivazione personale, i risultati ottenuti. Ciò è funzionale al mantenimento degli attuali equilibri di potere presenti in una società attraversata da numerose fratture e disuguaglianze.

Basti pensare che secondo l’ultimo rapporto del World Economic Forum di Davos, nel contesto italiano, i super ricchi con patrimoni superiori ai 5 milioni di dollari (lo 0,134% degli italiani) erano titolari, a fine 2021, della ricchezza equivalente a quella posseduta dal 60% degli italiani più poveri.

nessun contesto o privilegio, solo meritocrazia

In tale cornice, la meritocrazia si inserisce all’interno di una polarizzazione netta che vede contrapporsi una minoranza di super ricchi e una maggioranza in costante impoverimento. Una forbice che diviene sempre più ampia e che, secondo il report sulle diseguaglianze di Oxfam del 2023, dopo 25 anni, vede per la prima volta una crescita simultanea tra ricchezza estrema e povertà estrema.

In sintesi, ad un aumento della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi corrisponde un aumento della povertà e della marginalità sociale ai danni di fasce sempre più larghe della popolazione.

Il caso italiano si rivela essere emblematico in materia di disparità sociali. Nel nostro Paese, infatti, la povertà assoluta coinvolge il 7,5% delle famiglie (1 milione 960 mila di persone) e il 9,4% di individui (5,6 milioni di persone).

L’Istat registra che In Italia dal 2005 al 2021 il numero di persone che vivono in povertà assoluta è triplicato. Mentre, secondo l’Indagine sui bilanci delle famiglie dell’anno 2022 stilata dalla Banca d’Italia:

«La ricchezza media posseduta dal 5 per cento delle famiglie più ricche è aumentata di oltre il 20 per cento rispetto al 2016, sospinta dall’aumento del valore delle attività finanziarie, dalla crescita del risparmio e dall’incremento delle attività reali in aziende».

In italia non esiste più un ascensore sociale

I dati appena menzionati sottolineano come, soprattutto in Italia, l’ascensore sociale sia ormai bloccato. Tale evidenza è il prodotto di un processo di impoverimento che prosegue inarrestabile oramai da decenni.

Al netto dell’assenza di avanzamenti rilevanti e di politiche pubbliche volte al superamento di ostacoli in materia di giustizia sociale, il criterio del merito testimonia una componente rilevante della narrazione dominante. Una narrazione il cui obiettivo non è il ripristino di condizioni di uguaglianza, bensì l’iper responsabilizzazione del singolo. Il tutto si traduce in un illusorio “se non riesci è colpa tua”, non certo delle asimmetriche condizioni del contesto circostante.

Così delineata, l’ideologia del merito rappresenta il confine principale utile a suddividere la società tra vincitori e perdenti. La competizione sfrenata che si inserisce tra questi due segmenti genera una frattura, il cui unico fine è la dissimulazione dei rapporti di forza nella società neoliberista.

Si tratta, in sostanza, di una logica che pretende di collocare tutti i soggetti coinvolti all’interno di un ambito specifico (sia esso lavorativo, scolastico, universitario) sulla stessa griglia di partenza. L’unico parametro che si prende come riferimento nell’analisi dei risultati finali consiste nel valutare in che modo è stato superato il traguardo. Ne consegue, quindi, che dalla stessa logica vengano escluse tutte le variabili che compongono la vita di ognuno. E con ciò non s’intende riferirsi ai soli elementi che determinano la collocazione sociale di un soggetto, ma anche al contesto che lo circonda, e che dunque lo influenza e lo intrattiene in un rapporto di dipendenza con fattori esterni alla sua esistenza individuale.

Tutti uguali, ma alcuni più di altri

La collocazione standardizzata di una massa di individui sulla stessa linea di partenza tende quindi a collocare in secondo piano le differenze che intercorrono fra i vari segmenti che compongono la massa.

Viene così reiterata una narrazione che opera nella direzione di una messa a fuoco di una platea indistinta. Da essa non emergono le posizioni di coloro che partono avvantaggiati, come quelle di coloro che al contrario si collocano ancor prima della griglia di partenza.

Ciò che emerge è la necessità di alimentare il meccanismo alla base della gara. La meritocrazia è questo: uno strumento che chi detiene il potere utilizza al fine di tutelare i propri privilegi.

Il baratro del fallimento

Il fallimento rappresenta il baratro che attende chi non riesce a rientrare nei parametri stabiliti a priori. Chi, in assenza di tali condizioni, viene relegato nella dimensione propria dei perdenti.

Perché, secondo questa logica, risulta più conveniente che ampie fasce di giovani si autoconvincano di essere dei perdenti e dei buoni a nulla piuttosto che mettere mano alla giustizia sociale di un intero sistema.

Perché il sistema è truccato. Ma risulta più conveniente che a farne le spese siano le fasce più deboli della popolazione piuttosto che la ristretta minoranza che ha contribuito ad alimentare tale illusione.

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