Cinema
Fiore mio, come le montagne potrebbero salvare noi
Paolo Cognetti presenta il suo primo film al Festival dei Popoli, con la colonna sonora di Vasco Brondi
A cura di
Marta Civai
Immagini di
Daniele Mantione
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Quest’anno, giunto alla 65° edizione, il Festival dei Popoli porta in sala più di 80 titoli con la direzione artistica di Alessandro Stellino, quella organizzativa di Claudia Maci e con la presidenza di Roberto Ferrari.
Nato nel 1959, è il principale festival internazionale del film documentario in Italia e il più longevo in Europa. Anche quest’anno è inserito all’interno della 50 giorni di Cinema a Firenze insieme al FánHuā Chinese Film Festival, Middle East Now, France Odeon, Florence Queer Festival, Lo Schermo dell’Arte e molti altri. Fino al 14 dicembre ospiterà nel capoluogo toscano, in particolar modo persso il Cinema La Compagnia, un’interessantissima selezione di film in anteprima.
In apertura di questa edizione, Paolo Cognetti presenta il suo primo film, da lui scritto, diretto e interpretato, con la preziosa collaborazione del cantautore Vasco Brondi, che ne ha curato e composto la colonna sonora.
Un film dove emerge con dolcezza la profonda connessione del regista con la montagna, in particolare col Monte Rosa e il suo ghiacciaio, dove la sua intima contemplazione si pone un passo indietro rispetto alla natura che “ci ignora perché siamo di passaggio”, come afferma Paolo stesso in conferenza, portandoci sulle cime del Quintino Sella, dell’Orestes Hütte e del Mezzalama.
Nell’estate del 2022, Cognetti vede esaurirsi per la prima volta la sorgente vicina a casa sua, a Estoul, un paesino in Valle D’Aosta a 1700 metri. Ne resta fortemente turbato. Il pensiero che la Terra, le sue montagne, stiano a poco a poco mutando a causa del cambiamento climatico, e che l’uomo non possa che arrendersi ai voleri della natura, lo portano a raccontare e riprendere quegli spazi.
Il cambiamento climatico spaventa, distrugge; la natura si riappropria dei propri spazi, resiste.
Cognetti ha lavorato a stretto contatto con Vasco Brondi, cantautore veronese. Insieme hanno immaginato e costruito, con reciproca influenza, le musiche e le riprese. Vasco racconta di aver iniziato a comporre ancor prima di vedere le immagini delle riprese: mentre guidava, di ritorno dalla montagna, si appuntava parole e melodie.
Alla domanda: “Per quale motivo nasce questa collaborazione?” entrambi concordano e rispondono all’unisono: “Perché non conoscevamo le regole e i codici del cinema”.
Non ironicamente, questo slancio incosciente ha funzionato.
L’organicità che emerge tra il visivo e il sonoro è sicuramente frutto della sinergia tra i due autori; alla base c’è un rapporto fraterno di amicizia e una vicinanza al tema e al contesto molto forte.
Lunghissime camminate per Vasco, due passi per Paolo. Due approcci differenti alla montagna, due storici non perfettamente congruenti, ma comuni nella ricerca di una dimensione casa diversa dalle logiche più comuni.
Vasco sceglie di comporre melodie con molto spazio vuoto, pochi strumenti e pochissime parole. Un viaggio corale dove si lasciano, invece, parlare le persone che quei luoghi li osservano, li abitano e ne (ac)colgono la loro impermanenza.
Diversi personaggi – “guide” – dialogano con Paolo: Remigio, Arturo e sua figlia Marta, Sete, Corinne, Mia e il cane Laki.
Per tutti loro è un luogo del sentire, un luogo dove ritornare o dove restare.
Per tutti loro è un luogo che si porta dietro desideri, speranze e ricordi. Si interrogano sul perché abitino la montagna, e se questo stare abbia un senso. Cognetti lascia spazio alle visioni degli altri, senza proiettare il suo sé, bensì ponendosi in ascolto.
Il concetto di ciclicità si presenta più volte nel documentario. Un desistere dal dominare tutto ciò che è fuori dal nostro controllo, staccandosi dalla visione antropocentrica di tutto l’intorno. “Le montagne ci danno la possibilità di rimetterci nella giusta proporzione” — dice Vasco Brondi alla fine della presentazione.
Ascoltare gli alberi, singolo estratto dall’omonimo album, è stato scritto e registrato dal cantautore, ancora ignaro dell’effettivo utilizzo del pezzo per la colonna sonora, proprio nel rifugio del regista e nei luoghi in cui sono state girate le scene del film. La canzone anticipa un album (in uscita il 15 novembre) che invita a fermarsi davanti alla natura, ad ascoltarne i silenzi e i piccoli rumori.
Fiore mio di Andrea Laszlo De Simone, canzone di chiusura che dà il titolo al film, è una carezza, una quieta dedica al ghiacciaio del Monte Rosa:
Tutto il tuo corpo è acceso di biancore
Splendono gli astri metallici e bianchi
Tutto s'infrange e cade
Cognetti racconta come questo pezzo sia stato per lui d’ispirazione per iniziare a dirigere l’intero film a partire delle immagini nitide che ne scaturivano.Struggente e sognante, il brano chiude un cerchio di paesaggi rarefatti e dense emozioni. Fiore mio sarà nelle sale il 25, 26 e 27 novembre e la visione è caldamente consigliata.