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Elezioni Usa: Oggi inizia la fine di Donald Trump

Gianluca Passarelli commenta: “L’America non è ancora pronta per una presidente donna”

A cura di

Nicolò Guelfi

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Polo del ‘900


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Nella mattinata italiana del 6 novembre, tarda notte dall’altro capo dell’Atlantico, è stato ufficializzato il risultato delle elezioni americane, le più seguite e le più importanti del mondo. Donald Trump, miliardario settantottenne newyorkese, ha vinto la corsa per la presidenza per la seconda volta, dopo 4 anni dal suo precedente mandato, ed è diventato il 47° presidente degli Stati Uniti d’America.

Il testa a testa con la rivale democratica Kamala Harris, paventato da molti analisti e sondaggisti, non si è verificato. Già a mezzanotte, a Palm Springs, il Tycoon saliva sul palco per effettuare il discorso della vittoria, dopo essere stato dichiarato vincitore dalla rete televisiva vicina ai repubblicani Fox News.

Il contesto pre elezioni

Uno scenario incredibile e a tratti anche preoccupante: Donald Trump è sicuramente il politico e il presidente più divisivo di questo primo quarto di secolo. Negli Stati Uniti ha saputo polarizzare le opinioni dei cittadini come nessun altro prima di lui. Eletto, non senza stupore, nel 2016 con il favore dei grandi elettori e la minoranza assoluta del voto popolare, The Donald ha condotto il suo Paese verso un periodo di isolazionismo geopolitico, ritorno al liberismo economico tipico dell’epoca di Ronald Reagan e soprattutto una politica di zero tolerance verso l’immigrazione dai Paesi dell’America Latina.

Dopo una gestione molto criticata dell’epidemia di Covid-19 e una serie di accuse abbastanza pesanti (una su tutte: l’aver pagato l’attrice porno Stormy Daniels per tacere su una loro relazione intima usando soldi del suo stesso comitato elettorale), Trump ha dovuto cedere il posto al candidato democratico Joe Biden, ma non senza qualche tragico strascico come l’assalto dei suoi sostenitori al palazzo del Campidoglio americano a Capitol Hill.

Nei quattro anni che sono seguiti, Trump ha preparato il suo ritorno alla guida degli States. Un po’ per interesse politico (non ha mai ammesso la sconfitta alle precedenti elezioni) e un po’ per quello legale (l’immunità presidenziale lo libera dai processi in atto). Dopo il ritiro, questa estate, di Joe Biden, per ammessa impossibilità di assolvere ai suoi compiti da Presidente all’età di 81 anni, al suo posto nella corsa è subentrata la vice Kamala Harris, ex procuratrice distrettuale californiana, sessantenne, di origini indo giamaicane.

Nella notte tra il 5 e il 6 novembre 2024, Donald Trump è tornato ad essere il Presidente degli Stati Uniti d’America. Il più anziano di sempre al momento della nomina.

Nessun testa a testa, ma una vittoria schiacciante

Per capire di più abbiamo parlato con Gianluca Passarelli, professore di Scienza politica presso l’Università La Sapienza di Roma. Passarelli, accademico, scrittore e analista, è specializzato proprio sui Presidenti della Repubblica. Sul caso americano, insieme a Francesco Clementi, ha pubblicato il volume “Eleggere il Presidente – Gli Stati Uniti da Roosevelt ad oggi” nel 2020 per Marsilio Editore.

Professore il testa a testa tanto paventato tra Harris e Trump non si è verificato. Come mai?

Anzitutto io vorrei capire cosa pensasse chi parlava di testa a testa. Io non sono mai stato convinto da questo scenario. In alcuni Stati poteva effettivamente essere così, ma non è mai stata una lotta alla pari a livello federale.

Cosa ha portato questo risultato?

C’è sicuramente una serie di concause. Per esempio, Kamala Harris non ha mai chiarito esattamente quale fosse la sua agenda, né per quanto riguarda l’economia, né tantomeno per la politica estera. Quella di Donald Trump magari non piaceva a molti, ma almeno ne aveva una. Inoltre, Harris è stata una vicepresidente e ciononostante non ha mai rivendicato una sola azione positiva svolta dall’esecutivo di Joe Biden. Quest’ultimo è stato l’artefice di una politica sociale così grande da far impallidire il New Deal. È il presidente che ha risollevato gli Stati Uniti durante il periodo Covid: vaccinazioni gratuite e assegni di mantenimento per le famiglie povere sono opera sua. Kamala Harris non ha mai rivendicato niente di tutto questo, ha lasciato perdere il suo Presidente in quanto troppo anziano.

L’america non è pronta per una presidente donna

Cosa ci dice questo voto che riconferma Donald Trump?

Che l’America non è pronta a una presidente donna. Sembra incredibile, ma nel Paese della segregazione razziale sono riusciti ad eleggere prima un Presidente nero che una donna. Per inciso, Barack Obama non era d’accordo con la nomina di Kamala Harris, tanto che il suo sostegno è arrivato tardi. Il problema è che democratici non si sono resi conto che, nonostante i successi positivi, esiste anche la percezione esteriore dell’elettorato.

A cosa si riferisce?

Faccio un esempio: Nel 1992 il candidato democratico Bill Clinton vinse le elezioni con lo slogan: “It’s the economy, stupid”, perché l’economia americana dopo il primo e unico mandato di George Bush padre era andata a rotoli. C’era la percezione della paura che le cose andassero male. Harris ha fatto una campagna “in rimessa” e di risposta a Donald Trump. Biden ha dichiarato: “Se io avessi messo un cartello blu su ogni ponte fatto ricostruire durante la Presidenza le cose sarebbero andate bene”. Questo significa giocarsi la percezione della gente, incanalare il sentimento diffuso.

I democratici perdono anche nel voto popolare

Quali strade potevano essere percorse in alternativa dai democratici?

A Trump bisognava opporre o un candidato agli antipodi o uno speculare; quindi, o uno completamente diverso da lui o uno che lo ricalchi ma in modo più rassicurante. Questo lavoro qui non c’è stato e i democratici hanno perso il Senato, la maggioranza alla Camera!

Un risultato particolarmente negativo.

Per metterla in prospettiva, i democratici avevano vinto il voto popolare (quindi la maggioranza assoluta degli elettori) nelle ultime sette elezioni su otto. Io ho vissuto due anni in Pennsylvania. Se uno oggi esce da Philadelphia, dopo 200 metri è una sequenza infinita di cartelli con le scritte “W Trump” e “Fuck Biden”. La zona rurale delle contee espone i democratici al rischio. Lì non sono la maggioranza.

Qual è stata la reazione poco dopo lo scrutinio?

Trump ha fatto un discorso bellissimo. Qui in Italia diremmo “al miele”. Abituati alle sue facce serie, ai suoi discorsi carichi di rabbia e odio, questo discorso suona già più istituzionale. Il gioco della democrazia è anche un po’ questo: “Io ci devo credere in quello che faccio oppure no?”. Io, come analista, non sono catastrofista, dobbiamo vedere come si comporterà da qui in avanti.

Dietro il successo di trump c’è la mano di Musk

Certo, però noi tutti abbiamo già conosciuto Donald Trump. Sia come Presidente che come capo dell’opposizione. Molte persone si sentono preoccupate perché sanno già di cosa è capace.

È legittimo preoccuparsi del personaggio che tutti conosciamo, ma il vero pericolo, a mio avviso, è Elon Musk. Questa, di fatto, è la sua presidenza. Trump è machista, arrogante, padrone, nel senso più deteriore di capitalista, ed è abituato a ottenere ciò che vuole. Ora che gli è stato restituito il suo “giocattolino”, che da anni continua a ripetere gli sia stato rubato, sarà la persona più dolce del mondo. Donald sarebbe stato molto più pericoloso da sconfitto, e lo abbiamo visto benissimo già con i fatti di Capitol Hill del ‘21. Inoltre, i suoi oppositori sono già all’interno del partito repubblicano, il quale ora può finalmente gestire la transizione.

Oggi inizia la fine di Donald Trump e la liberazione del partito dell’elefante. Se ci fate caso, Trump nel suo discorso della vittoria ha detto: “ringrazio il movimento Maga”, quelli di Make America Great Again, esponenti dell’Alt right, non i repubblicani. I democratici, nel frattempo, devono completamente rivedere la loro linea.

Le elezioni sono Una vittoria del tycoon

Questa vittoria è più un merito di Donald o un demerito dei democratici?

Sicuramente è un merito di Trump. Lui ha costruito il suo movimento personale. Il partito repubblicano, pur non volendolo, lo ha tenuto alla guida. I democratici non hanno opposto nessuno che fosse realmente in grado di competere. La Harris è entrata come unico possibile sostituto di un presidente uscente ormai compromesso dagli acciacchi dell’età.

L’agenda politica degli Stati Uniti cambierà? Dobbiamo essere preoccupati?

Ci sarà il disimpegno degli americani nei confronti nella Nato, ma questo processo era già iniziato, addirittura con Obama. Certo, oggi in modo diverso, ma gli Stati Uniti si stanno tirando fuori dalla guida militare del mondo. Sulla preoccupazione, Trump fa il suo, noi abbiamo imparato a conoscerlo. Io sono più preoccupato del silenzio di Ursula Von der Leyen, la quale poco si esprime e poi concede accordi e cariche alla destra più estrema in Europa.

Una situazione del genere si era mai verificata in passato?

In un certo senso sì: è la terza volta nella storia che un Presidente Usa si ricandida dopo essere stato sconfitto. Il primo fu Grover Cleveland alla fine dell’800. Trump è stato tenace, e questo suo atteggiamento determinato lo ha premiato. La personalità, la leadership è evidente. A quasi 80 anni poteva ritirarsi. Certo avrebbe avuto problemi legali, ma sarebbe stato in grado di affrontarli. Lui voleva vincere. Kamala Harris no, non ha mai fatto una vera azione dimostrativa che portasse il pubblico dalla sua parte. Trump è fatto così, nel bene e nel male: continuerà a bistrattare le istituzioni e a sollazzare il proprio ego. Continuerà ad esprimere tutto il suo maschilismo violento. Detto questo, anche John Fitzgerald Kennedy “andava a donnacce”, questo è un fatto; quindi, il moralismo applicato a Trump deve essere ridimensionato. Vedremo come andrà, è tutto da scoprire.

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