Editoriale
Mainstream – editoriale N.04
Tratto dalla rivista N.04
A cura di
Caterina Biondi
Immagini di
Francesco Giuliani
☝🏻 Abbonati a Ratpark Magazine
☝🏻 Condividi se ti è piaciuto!
Ho imparato la parola ‘mainstream’ intorno ai 12 anni. Questa era la parola da dire quando qualcuno mi chiedeva cosa non mi piacesse. La musica mainstream, i film mainstream, la moda mainstream. Con il tempo ho capito che non è sempre equivalente di spazzatura, qualcosa di cattivo gusto, per coloro che non hanno il palato per comprendere le sfumature delle cose. D’altronde, anche io, da giovane e immatura conoscitrice del mondo, stavo solo adottando l’attitudine radical chic che era così popolare nel mio cerchio di conoscenze. Potremmo dire, quindi, che anche essere radical chic, ai tempi, cominciava a diventare mainstream.
Innumerevoli le volte in cui ho dovuto fare i conti con il fatto che la definizione di questo termine, ma soprattutto la sua accezione negativa, mi stesse stretta. Una di queste dopo una serata in un club di musica commerciale a Berlino (già un chiaro errore di partenza). Alle 4 di notte su un treno direzione Reinickendorf mi trovo a discutere con M che, solo poco prima, ballava sulle note di una malamente remixata Smells Like Teen Spirit, affrontando una versione molto semplificata del dibattito rockism e popism (p. 110). Eresia.
La triste e ribelle colonna sonora della mia adolescenza, che mi faceva sentire speciale e incompresa in un mare di Katy Perry e Britney Spears, ora piazzata lì, ai più, come qualcosa di frivolo, per coloro che probabilmente non sapevano nemmeno cosa il grunge fosse. Quello di cui non mi rendevo conto era che i Nirvana, per arrivare alla giovane medio-borghese Caterina, non erano di certo nascosti in una nicchia per intenditori. La non più tanto sottocultura grunge era diventata mainstream già dai primi anni ‘90, con l’Unplugged di MTV e le camicie di flanella sulle passerelle dell’alta moda. Come diceva Lavoisier per ben altre questioni, anche io riflettendo sulla difficoltà di definire questo termine, mi ritrovo nel suo “principio energetico”: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Quello che volevamo trasmettere con questo numero 04 è la varietà che questo termine può racchiudere, diventando qualcosa che, se analizzato da vicino, ci può raccontare passato, presente e futuro della nostra società. Perché mainstream diventa anche la notizia che, a volte tristemente, è sulle bocche di tutti. Come l’emergenza abitativa che diventa sempre più pressante ma con ancora poche soluzioni (p. 16). Come l’arte delle serie tv, che consumate e prodotte con frequenza sempre maggiore, diventano a volte medium per qualcosa di altro, come, nel caso di Sex Education, la popolarizzazione della tanto scomoda educazione sessuale (p. 84). Come il bohémien, che si culla nella sua povertà e romantica ossessione per la controtendenza (p. 62). E, ancora, come il calcio, uno degli sport più diffusi al mondo ed enorme mercato economico, ma anche scintilla di iniziative di aggregazione popolare (p. 120).