Handlogic

Musica

Cosa significa fare musica oggi?

Intervista a Lorenzo pellegrini degli /handlogic

A cura di

Bernardo Maccari

Immagini di

Tuttorock, /handlogic


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Mentre gli ultimi giorni del 2024 rotolavano via allegramente ho avuto l’occasione di incontrare per un’intervista Lorenzo Pellegrini, cantante, paroliere e compositore degli /handlogic.  Il punto focale di quella che è stata una conversazione lunga e stimolante si potrebbe dire esser stato la crescita, sia nel senso di generica crescita personale sia nel senso di crescita nello specifico come musicista. E, non per caso, quello della crescita è il tema principale anche dell’ultimo disco della band fiorentina, ESSERI UMANI PERFETTI, uscito nel maggio del 2023.

Come racconta Lorenzo: “Il seme di questo disco è stato il tour di Nobodypanic, il nostro primo album, nell’estate del 2019. Un’estate che ricordiamo molto bene, anche perché è stata la più ricca di concerti nel nostro percorso.” Dall’intensa e prolungata attività live: “è emersa una sensazione, soprattutto da parte mia, di disagio e frustrazione nel cercare di comunicare in una lingua diversa dalla mia qualcosa che sentivo di voler dire.“ E da questa sensazione scaturisce poi la decisione di scrivere in italiano per la prima volta, nonostante un pubblico abituato all’inglese sin dal 2016.

Gli esordi

Difatti, gli /handlogic, vinto il Rock Contest di Controradio di quell’anno si sono: “ritrovati in un mondo completamente diverso, quello dell’indie italiano del 2016-2017, che non aveva nulla a che fare con la musica che facevamo, ma che era il circuito giusto per avere visibilità.” Nel 2016 inizia un percorso accelerato in quello che pur essendo un ambiente adatto a un avanzamento di carriera non è il luogo musicale che Lorenzo e gli /handlogic sentono più vicino a loro. L’EP viene rielaborato insieme ad artisti del calibro di Andrea Appino e Alberto Ferrari; oltre al rock contest vincono altri due premi – Musica Futura, Musica da Bere – e firmano con Woodworm Label, etichetta con cui nel 2019 uscirà il loro primo lavoro longform, il già citato Nobodypanic.

Ma lo scollamento fra l’autore e la sua musica si fa sempre più forte anche per motivi che con la musica non hanno direttamente a che vedere, e insieme ad esso nasce l’urgenza di una ricalibrazione del proprio processo creativo:

“In quel periodo la spinta al cambiamento si è anche incrociata con una crisi personale molto forte che, per coincidenza, è avvenuta durante il Covid. A prescindere dal contesto pandemico, mi trovavo a un punto di grande frustrazione, dove ho messo in discussione molte cose della mia vita.

Ho iniziato nuovi percorsi e ne ho abbandonati altri. Ho iniziato il percorso della terapia per cercare di uscire da una sorta di ‘buco nero’ in cui mi ero infilato. Mentre facevo quest’analisi ho iniziato a tenere un diario dei sogni e delle sedute, e da quel diario sono emersi dei pattern, delle idee che ho provato a mettere in musica. Lì si è posto il bivio: provare a tradurre tutto in inglese per mantenere un certo stile o lasciarlo così come era, in italiano.”

La scelta è quella di scrivere e cantare in italiano. Il risultato è ESSERI UMANI PERFETTI, e come in ogni processo di crescita e cambiamento ci sono contraccolpi: “Il prezzo da pagare è stato il grande imbarazzo perché mi sono messo completamente a nudo senza più il filtro della lingua. E questo ha influenzato anche il modo in cui cantavo, più nascosto, quasi come se la musica, molto massimalista, dovesse coprire le parole.

Ma il mio obiettivo in quel periodo era essere il più onesto possibile. Il fatto che ci fosse isolamento, un distacco dai social, mi ha fatto riflettere su quello che volevo davvero fare. In quel periodo avevo voglia di sperimentare. È stato un viaggio, un tentativo di restare fedele a quello che sentivo, senza pensare a cosa dovesse funzionare o piacere agli altri.”

A questo punto è impossibile non chiedersi: “Cosa succede, nel mercato musicale del terzo millennio, a una band che dopo una pausa di tre anni esce con un lavoro alieno fin nei principi più basilari a tutta la sua produzione precedente?”. Oltre a chiedermelo, ovviamente lo chiedo a Lorenzo, che mi spiega: “Aver fatto una pausa di tre anni ed essere tornati è considerato un peccato mortale nella musica di oggi, ma in generale in qualsiasi tipo di produzione artistica.

Sappiamo bene che devi bombardare il pubblico il più possibile, agganciarlo, sempre, e non farlo per tre anni è stato come fare un passo indietro di 10 anni.” Ma non è neanche possibile un’accettazione totalmente passiva di questi meccanismi: “Per me è stato fondamentale per continuare a fare questa cosa e mantenere intatta la mia salute mentale separare il lavoro dalla passione. Ho iniziato a lavorare come produttore musicale e produttore artistico per altri progetti.

Quello che faccio per /handlogic, cioè scrivere, arrangiare e produrre ho iniziato a farlo per altri, per lavoro. E questa cosa mi ha tolto un carico mentale gigantesco, la creazione si è slegata dalle dinamiche prettamente lavorative. Non ho più dovuto pensare a pagare le bollette con la musica, ma a se avevo o meno voglia, bisogno di scrivere.”

La lunga assenza ha avuto degli effetti anche sull’attività live degli /handlogic, fin dagli inizi della loro carriera molto intensa, bruscamente interrotta e poi ripresa; economicamente necessaria, ma come nel caso del tour del 2019 potenzialmente molto stressante. E non solo per considerazioni riguardo al numero, o magari alla qualità o al successo dei concerti della band, è importante parlare del rapporto che ha con l’attività live: “Il live è l’unico momento in cui siamo davvero insieme, perché in studio ognuno lavora da solo.

La parte creativa è spesso solitaria, ma quando siamo sul palco quella solitudine sparisce. Siamo una band un po’ anomala: anche se gli altri hanno dei ruoli ben definiti sono l’unico che scrive. In studio spesso la musica è pensata come una colonna sonora, con molte voci e campioni digitali e raramente c’è un quartetto che suona insieme. Quando passiamo al live, dove siamo in quattro, bisogna adattare tutto. Suonare insieme sul palco diventa un rito collettivo, non solo un viaggio psicanalitico personale.”

Cambiando qualcosa di tanto fondamentale quanto il linguaggio con cui si celebra, il rito si manifesta rivoluzionato: con il passaggio all’italiano e ai temi personali e profondi di ESSERI UMANI PERFETTI i concerti della band sono cambiati: “All’inizio cercavamo di replicare fedelmente il disco, ma ci siamo resi conto che non era divertente. Sembrava quasi un playback, e il pubblico non percepiva l’energia.

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Nuovi progetti

Poi siamo andati nella direzione opposta, dove il live è diventato qualcosa di completamente diverso dal disco. Per alcuni, il live è addirittura migliore, più intenso e più emozionante, mentre altri preferiscono il lato più sperimentale del disco.” Eppure questo cambiamento ha creato uno spazio, sicuro e confortevole, tra l’artista e il suo pubblico, nel quale potersi muovere con disinvoltura. Non è una rottura; piuttosto una presa di coscienza delle proprie relative posizioni.

E proprio in questo spazio sta prendendo vita il nuovo disco, oggetto della mia ultima domanda a Lorenzo, che mi spiega: “stiamo cercando di darci dei limiti nella scrittura, e di uscire dalla nostra zona di comfort, stabilendo dei paletti rigorosi. Stiamo cercando di stare sopra gli 80-90 bpm, qualcosa che non abbiamo mai fatto. Questo cambia tutto: la mia vocalità, il timbro, la scrittura stessa.

Un altro obiettivo è fare qualcosa di più pop, non nel senso commerciale, ma nella sua struttura. Vogliamo concentrarci su canzoni più brevi, intorno ai 3 minuti, senza cadere nel compromesso di fare qualcosa di commerciale, ma come una sfida.”, e conclude: “La libertà totale che avevamo prima era simile a quella di un bambino che disegna su un foglio bianco, ora vogliamo lavorare all’interno di limiti specifici. Vogliamo raccontare storie diverse, in seconda o terza persona, e non solo da un punto di vista autobiografico.”

Buona fortuna.

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