Carceri

Letteratura

Scende la lacrima dell’impotenza

A cura di

Marzia Cerasa

Immagini di

Robert Crow


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Questa poesia nasce come sfogo e, allo stesso tempo, denuncia.

I versi che seguono sono stati scritti nell’estate del 2023, precisamente il 14 agosto, circa quarantotto ore dopo dopo il suicidio nel carcere femminile di Torino, a Le Vallette, di una ragazza del mio paese, ragazza con la quale avevo condiviso i banchi di scuola, i libri per bambini e gran parte della mia infanzia. Lo stesso identico giorno, un’altra donna si è tolta la vita nello stesso luogo.

Loro sono solamente due gocce nell’oceano: purtroppo non risuonano come un tuono, ma fanno solo un flebile pic, ascoltato per lo più da amici, parenti e qualche conoscente.

La mia riflessione, oltre che dal dolore, è nata proprio da questo suono immaginato nella mia testa: come mai, di fronte alle morti in carcere, le persone rimangono così fredde, così sorde? Come mai queste morti non causano indignazione?

La risposta mi è parsa abbastanza ovvia e rapida: la maggior parte di noi pensa semplicemente che essere in galera significhi essere indegno di vivere in società e, di conseguenza,  meritarsi il male senza ritorno. Ma la realtà è un po’ più complessa di così. Ci sono risposte che non ci aspettiamo, spiegazioni non comprese, vissuti che ignoriamo. A volte bisogna farsi le domande giuste per darsi delle spiegazioni, altre volte la spiegazione non può arrivare, ma la ricerca ci arricchisce comunque. Il bene e il male rimangono sfumati e, soprattutto, influenzati.

Spero che queste parole, che per me sono state sfogo ed emozione, siano emozione per coloro che le leggeranno, ma anche un’apertura verso la ricerca, non una risposta che, come a tutti, tarda ad arrivare anche a me.

Scende la lacrima dell'impotenza
quando l'indifferenza non può essere provata.
Pur senza grandi legami
chiediamo scusa
per quel che non abbiamo potuto controllare,
né potremo, ormai, più sentire.

Grida nel vuoto
risuonano tra le mura.
Eco indistinta.
Distante.
Inudita.
Inaudita.

Ci piomba addosso tardi
come fanghiglia sorda
che ricopre i bordi dell'asfalto
solo dopo una grande pioggia.

Sapevamo che sarebbe tornata,
prima o dopo,
ma ancora ostentiamo speranza
credendo che cedano
all'ennesima istanza:

che la condanna cessi,
la punizione crolli,
tra quelle mura che,
volta dopo volta,
rimbombano più forte di prima.

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