Ultima generazione

Politica e società

L’artista avrebbe applaudito

Intervista a Ultima Generazione

Articolo estratto dalla rivista N°02

A cura di

Anna Aziz

Immagini di

Anna Aziz


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Ultima Generazione è il movimento di disobbedienza civile non-violento, contro il collasso eco-climatico, che ultimamente popola le pagine dei giornali. I loro obiettivi? Ottenere un tavolo di negoziazione con il governo per chiedere di investire in energie rinnovabili, evitare le trivellazioni per l’estrazione di gas e la riapertura delle centrali a carbone, ma — più di ogni altra cosa — interrompere gli investimenti in combustibili fossili. Ne parlo con Irene, Giordano e Corso; i primi in Ultima Generazione da molto tempo, il terzo un artista fiorentino appena entrato a far parte del movimento. 

Cosa è Ultima Generazione? Come, quando, dove e perché è nato il movimento? 

Irene. Ultima Generazione è una campagna nata un anno e mezzo fa, staccandosi da Extinction Rebellion XR — movimento internazionale fondato in Inghilterra, in risposta alla devastazione ecologica.  È composta da una serie di persone che hanno, come dico sempre, “il fuoco sotto i piedi”, ovvero tutti coloro che sentono l’urgenza di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sul collasso eco-climatico. I più grandi lo fanno perché sentono la responsabilità di aver goduto di tutto quello che la nostra modalità di vita ci ha dato da godere e sono, dunque, spaventati dal fatto che i propri nipoti non potranno fare lo stesso; i più giovani, invece, si uniscono al movimento semplicemente perché vogliono vivere e godere della natura.

Ultima Generazione prende atto del fatto che il Governo italiano non stia prendendo misure orientate a ridurre la devastazione in corso e, per questo, lo sollecita attraverso atti non-violenti di disobbedienza civile. Quando abbiamo deciso di staccarci da XR, lo abbiamo fatto proprio per assumerci a pieno la responsabilità del nostro modo di agire, in modo tale che ognuno sia libero di perseguire l’iter che ritiene più giusto, per raggiungere determinati obiettivi, che alla fine sono gli stessi per tutti. Siamo, infatti, in ottimi rapporti e c’è collaborazione tra noi. 

Gli esponenti di Ultima Generazione hanno sicuramente uno scopo comune, ci dite, tuttavia, qual è il punto di partenza? Cosa vi ha portato ad aderire al movimento?

Irene. Io ho una formazione scientifica. Al terzo anno di Università il mio professore mi disse che gli allevamenti intensivi sono una delle prime cause del collasso climatico. Io pensai che se c’era un problema fosse bene risolverlo. Invece, oggi è rimasto solo il 3% dei mammiferi non appartenenti agli allevamenti intensivi. Ogni volta che esco di casa, non ho bisogno degli studi scientifici, mi basta sentire la notte immobile e silenziosa, priva di tutti quei suoni che dovrebbero, invece, esserci e capire che quel problema, di cui parlava il mio professore, permane ancora oggi. 

Giordano. I motivi che mi hanno portato all’interno di Ultima generazione sono vari: il primo è mia figlia, vorrei che vivesse in un mondo migliore, con un futuro quantomeno possibile. Un altro motivo è legato al mio mestiere: sono oltre dieci anni che lavoro nella sanità pubblica e, in particolare, in strutture residenziali terapeutiche per utenti psichiatrici. Sono persone che lottano tutti i giorni con il proprio disagio cercando di superarlo. Noi li aiutiamo all’interno delle strutture adibite, ma quando poi usciranno? Mi sento in dovere di fare questo per tutte le persone che mi circondano e ogni volta che timbro il cartellino non è che me lo dimentico.

Corso. Le cause che mi hanno spinto a unirmi alla campagna di Ultima Generazione sono molteplici. Sono scelte che ognuno può fare a livello individuale e a livello sociale. Penso che l’uomo sia un essere molto contraddittorio, capace di cose bellissime e di cose orribili al tempo stesso. Ci troviamo in una bolla di frenesia e mancanza di sensibilità nei confronti dell’altro, in cui predomina una forte mancanza di comprensione. Questa cosa si riverbera su tutto l’ecosistema: siamo sempre a pensare a questo immediato presente, a questa razionalità a corto raggio, sempre più veloce. Non capisco perché non si investa in modo consistente in energia verde, perché non si sfrutti l’enorme potenziale tecnologico e innovativo che abbiamo a disposizione per difendere ciò che, invece, stiamo distruggendo. Gli esseri umani potrebbero essere i custodi di questo mondo, ma stanno scegliendo di esserne i carnefici.

La disobbedienza civile e la non-violenza sono i due pilastri che guidano il vostro modus operandi. Perché li avete scelti e perché sembra che facciano ancora più paura rispetto ai loro opposti?  

Irene. La disobbedienza civile è soltanto uno strumento. Le persone pensano di non avere potere perché il sistema è forte e la nostra modalità di vita ci conduce, senza che noi lo vogliamo, a distruggere ciò che ci circonda. Ma con la disobbedienza civile ci si rende conto che c’è ancora una possibilità e che, se le persone si uniscono, possono ancora avere potere politico. Essa si rivela il metodo più efficace perché sono cinquant’anni che gli scienziati pongono l’attenzione sulla crisi climatica e sulla devastazione dell’ambiente, che autorevoli fonti scrivono libri sulla questione, che raccogliamo firme e organizziamo dibattiti, ma niente è stato sufficiente; la disobbedienza civile, invece, riesce a creare discussione. Sicuramente, è molto d’impatto — ci dispiace per il disturbo che diamo — ma è l’unico modo per essere visti dai cittadini e dallo Stato.

Giordano. Non-violenza perché è bene introdurre valori diversi in un sistema che è violento, rapace e opportunista. Diffondere una cultura di condivisione, di aiuto reciproco e di ascolto diventa, perciò, fondamentale. Disobbedienza-civile perché, nella storia, tanti movimenti che si sono occupati di diritti civili hanno utilizzato quelli che sono gli strumenti della disobbedienza civile e della non-collaborazione con il sistema. Allo stesso modo, anche oggi, uno sciopero dei lavoratori dei trasporti pubblici, sicuramente, crea disagio. Sono modalità spesso rappresentate come qualcosa di assurdo ma, allo stesso tempo, alcune di esse sono oggi per noi normali. 

Corso. Se fanno più paura non lo so. Comunque, lo Stato e i media hanno una capacità estrema e veloce di manipolare la forma e la realtà delle cose, come i serpenti che cambiano la propria pelle. Trovano spesso un modo di rivoltare la copertina del libro, quando il contenuto resta sempre lo stesso. C’è molta rabbia sociale e questo gioca a favore del cambiamento delle cose: più la gente è arrabbiata, più protesta.

Ciò che mi ha colpito di Ultima Generazione sono la rabbia e l’indignazione estremamente consapevoli che si trasformano in maturità e ascolto, cose non facili da trovare altrove. La rabbia dovrebbe esprimersi attraverso il confronto e non superare il ragionamento. Ci vuole tempo e pazienza per cambiare le cose, perché purtroppo la più grande malattia della contemporaneità è proprio l’indifferenza nei confronti della propria stessa vita e dell’altro. Se sei indifferente, sei sconfitto e ti va bene tutto; è, invece, necessario riaccendere la scintilla. 

Soffermiamoci su Firenze. Una delle proteste svolte nel capoluogo Toscano ha destato particolare indignazione: quella svolta agli Uffizi. Due ragazzi si sono incollati alla Primavera del Botticelli per affermare che “la bellezza esiste, ma va protetta”. Quali sono state le conseguenze e quali le reazioni, soprattutto quelle dei fiorentini? 

Irene. A livello cittadino, come al solito, c’è stata in parte indignazione e in parte comprensione, anche perché non ci siamo attaccati alla Primavera del Botticelli ma al vetro. È stata una delle azioni che ha fatto più parlare di noi e ha fatto discutere dell’argomento a livello nazionale. Queste azioni non suscitano simpatia e non vogliamo nemmeno che lo facciano, la cosa importante è che il messaggio arrivi e che le persone prendano una posizione di conseguenza. Il contatto con l’arte ci permette di porre l’attenzione su ciò che sta succedendo, ne sfruttiamo la potenzialità, senza danneggiarla: l’arte è sacra, ma non ci sarà nessuno a goderne se non avremo da bere o da mangiare e, sono convinta, che se fosse stato presente durante la protesta, l’artista avrebbe applaudito.

Corso. C’è un’idea molto bigotta dell’arte, in generale nel mondo e, in particolare a Firenze, come se fosse qualcosa di statico, universale, posto lì fuori dal tempo. Si scorda il fatto che l’arte — che ora è estremamente istituzionalizzata e immobilizzata senza ossigeno nei musei — è invece critica, fuoco, l’arte e l’artista rompono i coglioni, mettono in discussione le strutture esistenti. Gridano allo scandalo per il pomodoro su Van Gogh, quando Van Gogh in vita sua è stata una persona denigrata e mai capita. Lo spirito critico di eversione e di cambiamento rinasce nel momento della protesta e le opere di Van Gogh hanno di nuovo qualcosa da dire e si trasformano ancora in fuoco vivo. 

Aule di tribunale, regimi di sorveglianza speciale, sono scenari in cui è possibile imbattersi se ci si oppone, anche se lo si fa in modo non-violento. Semplicemente, a cosa siete disposti a rinunciare per portare avanti una protesta che è diventata vostra, ma ci riguarda indistintamente tutti?

Irene. Tutto, perché è tanta la posta in gioco. 

Giordano. La risposta è semplice: se rischiamo il nostro futuro e la nostra vita, cosa c’è di più prezioso? Possiamo rischiare tutto, perché stiamo perdendo tutto. 

Corso. Questa è la cosa che fa più paura, lo Stato fa paura, perché può farti ciò che vuole se sei scomodo. Durante le riunioni di Ultima Generazione, non c’era nessuno superficiale o fanatico che pensava di essere invincibile, ma persone che hanno espresso in modo molto consapevole e umano le proprie paure. Ciò le rende ancora più eroiche perché sono persone e, nonostante siano piene di paure, sentono questo fortissimo dovere morale di fare qualcosa a tutti i costi. Non mi viene una migliore definizione di “eroe” se non quella di chi ha paura, chi è consapevole di ciò a cui va incontro e decide di farlo lo stesso, perché sente che è giusto. 

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