Copywriting

Letteratura

Parole che vendono

Riflessioni sul potere del copywriting in un mondo dove la narrazione è persuasione

A cura di

Camilla De Foglio

Immagini di

Davide Buffagni


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Scrivere, per me, come per molte altre persone, rappresenta una via d’espressione naturale.  Quando le parole vengono fissate nero su bianco, acquisiscono una solidità e una permanenza che il linguaggio parlato non ha. Tuttavia, dietro ogni parola scritta c’è un lavoro che va ben oltre il semplice atto di scrivere.

Nelle mie ancora poche esperienze lavorative nel settore mi sono trovata a raccontare fatti, fare interviste e trattare temi a me cari, così come altri che non mi appartenevano. Ho sempre cercato però di navigarci dentro e di trovare spazio per i miei ragionamenti.

Oggi, la scrittura ha cambiato volto. È diventata uno strumento centrale per influenzare, persuadere e guidare decisioni. Nessuno dice che sia giusto o sbagliato, e personalmente rimango fedele all’idea di scrittura come forma di narrativa pura, ma non possiamo ignorare questa trasformazione, né fare finta che non esista. La sfida, piuttosto, è riconoscere questa nuova realtà e rivalutare il lato etico del fare copy.

Cosa significa davvero scrivere?

Potrebbe sembrare una domanda banale, ma non lo è, e rispondere non è facile. Spesso si sottovaluta la complessità della scrittura, con frasi come “Che ci vuole?”, e magari ci sta pure, eh. Ma esistono tanti modi di usare le parole.

Quando si può dire di essere veramente bravə? Oggi la “bravura” è spesso legata alla capacità di convincere l’altro a compiere un’azione, in linea con le logiche di acquisto. È qui che nasce il copywriting: quando si capisce che le parole possono persuadere, farci credere che abbiamo bisogno di fare quella cosa, vedere quel posto, possedere quell’oggetto.

Il copywriting: origini e maestri

Il copywriting nasce verso la fine dell’800, quando John Emory Powers rivoluzionò il mondo della scrittura commerciale affermando che il modo migliore per farlo era scrivere in modo semplice, diretto e facile da comprendere. Adottando questo stile, il fatturato del suo datore di lavoro aumentò esponenzialmente: da 4 a 8 milioni di dollari annui.

John Emory Powers è riconosciuto come il primo copywriter della storia e il padre della pubblicità moderna. Il suo stile, il cosiddetto Powers style, si basava su un linguaggio chiaro, senza esagerazioni, con titoli brevi e incisivi.

Accanto a Powers, un’altra figura influente emerse nello stesso periodo: Claude C. Hopkins. Hopkins fu uno dei principali fautori dell’hard selling e della pubblicità diretta. Le sue regole, raccolte nel famoso libro Scientific Advertising, affermano che la pubblicità deve avere un unico scopo: vendere. Per questo motivo, il messaggio doveva essere chiaro, conciso e privo di inutili abbellimenti.

Infine, Bill Bernbach, uno dei pubblicitari più influenti del Novecento, noto per aver dato vita a una vera rivoluzione creativa nella pubblicità americana. Con Bernbach, la pubblicità diventava il risultato di un processo creativo in cui copywriter e art director collaboravano strettamente, creando combinazioni perfette tra immagini e parole. La sua visione segnò un distacco dalla pubblicità scientifica di Hopkins, lasciando spazio alla persuasione e all’inventiva.

La sottile linea tra arte e persuasione

Quand’è che c’è una differenza tra scrivere “bello” e scrivere per convincere? Quanto è labile la differenza e quanto è sottile il filo che divide le due cose? Per cosa si battono le persone che credono nel potere della scrittura, delle frasi belle, dei pensieri ordinati da lettere che insieme fanno urlare emozioni e danno voce a concetti che sembrano difficili da esprimere a parole?

Il compromesso tra arte e marketing

La realtà della vita di scrittori, scrittrici e copywriters è che, a un certo punto, l’idealismo si scontra con il pragmatismo.

È possibile trovare un compromesso? Questa è una delle grandi domande. Da una parte, c’è l’aspirazione creativa, il desiderio di dare voce a idee, cause o emozioni. Dall’altra parte, ci sono le esigenze del mercato, la necessità di vendere e convincere. Ma arte e marketing devono davvero contrapporsi?

Inizialmente, ero molto più netta nel mio giudizio, convinta che scrivere per vendere significasse inevitabilmente tradire l’autenticità o compromettere i propri valori. Ma, riflettendoci nel tempo, ho capito che queste due dimensioni possono effettivamente fondersi in un equilibrio.

Certo, non è facile, e un compromesso è possibile solo se c’è competenza e attenzione. Scrivere per vendere non significa necessariamente andare contro i propri principi. Al contrario, una scrittura persuasiva, se ben fatta, può essere una forma d’arte in sé. Si tratta di usare le parole non solo per spingere a un’azione, ma anche per creare una connessione emotiva, raccontare una storia e dare senso a un prodotto o servizio affinché risuoni con le persone.

Il peso delle parole

Nel mondo del copy, le parole sono gli strumenti più potenti a nostra disposizione. Ma quanto spesso comprendiamo davvero il loro peso?

Una volta ho letto in un libro:

“Ho capito che la gente ha bisogno di dare un nome alle cose, semplificarle con le parole, pensando così, a torto, di poterle comprendere.”

Dare un nome alle cose è un modo per cercare di comprendere il mondo, ma la semplicità delle parole può nascondere la complessità della realtà che descrivono.

La sfida, allora, è usare le parole non solo per semplificare, ma per chiarire e dare significato. Scrivere con consapevolezza significa riconoscere che ogni parola ha un peso e un impatto, e il nostro compito è garantire che il messaggio venga realmente compreso, non solo percepito.

Il cambiamento dello status di chi scrive

Se riflettiamo sulla scrittura nel marketing e nella narrativa, è importante considerare come sia cambiato lo status della figura di chi scrive. Un tempo, questa veniva vista come solitaria, spesso isolata nella propria creatività: “un’anima romantica” che esprimeva le proprie idee senza scendere a compromessi. Un processo profondamente intimo e personale.

Oggi, soprattutto con l’avvento del marketing e del web writing, il ruolo di chi scrive si è trasformato. Non è più una voce solitaria, ma parte di un contesto collettivo e ben definito. Scriviamo per un pubblico preciso, consapevoli delle aspettative di chi legge e delle logiche che governano il mercato. Non ci si limita più a creare contenuti: bisogna ascoltare, capire e adattarsi. Sappiamo chi vogliamo raggiungere e modelliamo le parole per ottenere risultati concreti.

Collaborazione e dialogo nel processo creativo

In questo senso, la scrittura si pone come un’azione collettiva. Non lavoriamo più in una torre d’avorio, ma in costante dialogo con colleghi, colleghe, clienti e un pubblico ben definito. Ci troviamo a scrivere in team, confrontandoci con altre figure professionali, tutte impegnate a creare un messaggio coerente. Questo cambia radicalmente la natura del nostro lavoro.

L’impatto della tecnologia sulla scrittura

Anche la tecnologia ha contribuito a ridefinire questo ruolo. L’analisi dei dati, la SEO, i social media e gli strumenti digitali offrono una serie di informazioni che influenzano il modo in cui strutturiamo i nostri testi. Siamo costantemente chiamatə a considerare numeri, comportamenti e algoritmi. In altre parole, la scrittura non si limita più a essere un esercizio di stile, ma è guidata da obiettivi misurabili e risultati concreti. Il linguaggio che usiamo è calibrato per essere scoperto, indicizzato e condiviso.

Il copywriting come comunicazione strategica

Il ruolo del copywriting, quindi, non consiste più solo nell’impressionare chi legge con la prosa. Si tratta di trasformare intuizioni, dati e tendenze in messaggi chiari, incisivi e persuasivi, collaborando con diverse figure in un lavoro di squadra. La nostra fruizione della letteratura o dell’informazione rimane saldamente individuale, certo, ma la scrittura in chiave marketing si è evoluta in una dimensione collettiva, dove ogni parola deve tenere conto dell’impatto che avrà su un pubblico vasto e diversificato.

Quindi, qual è la soluzione? Continuare a scrivere senza consapevolezza? Se il copywriting fosse nelle mani di chi comprende appieno il potere delle parole e ne fa un uso etico, avremmo già compiuto un enorme passo avanti. La scrittura non è solo uno strumento per vendere, è una responsabilità. La scelta di ogni parola può fare la differenza tra manipolazione e trasparenza, tra un messaggio vuoto e una comunicazione autentica.

Il nuovo significato della creatività nel copywriting

Questa transizione ha comportato un vero capovolgimento semantico: la figura di chi scrive non è più un’entità autoriale unica e irripetibile, ma una figura strategica che opera in funzione di obiettivi precisi. Anche se può sembrare una perdita di creatività o di libertà, in realtà ne è una nuova forma. Bisogna essere capaci di adattarsi, di reinterpretare continuamente la scrittura per farla funzionare all’interno di un sistema in cui le parole non solo raccontano, ma vendono, convincono e creano relazioni.

Conclusione: la sfida di chi scrive

La scrittura e l’autorialità letteraria hanno subito trasformazioni, passando dall’individuale al collettivo. Oggi non siamo più solo “gente che scrive”. Siamo coloro che si occupano di trasformare concetti complessi in messaggi chiari e potenti. A tuttə voi che vivete di parole, fate sempre di ogni frase una sfida creativa!

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