Hikikomori

Politica e Società

Stare in disparte. La testimonianza di un Hikikomori

Il fenomeno sociale riguarda migliaia di persone, soprattutto giovani uomini, che decidono di chiudere i ponti con il mondo esterno. Riccardo racconta il mondo interiore di chi vive nascosto

A cura di

Lorenzo Marsicola

Immagini di

Hiroh Satoh


☝🏻 Condividi se ti è piaciuto!

Negli ultimi anni sempre di più si è diffuso un fenomeno, definito degli Hikikomori. Il termine, che viene dal giapponese, significa “stare in disparte” più o meno letteralmente e va indicare persone che volontariamente decidono di ritirarsi dalla vita sociale, chiudendosi nella propria stanza, evitando ogni tipo di contatto materiale col mondo. Dico materiale poiché una delle caratteristiche di questo fenomeno è la dipendenza del soggetto da TV, videogiochi e siti internet.

In Giappone la questione degli Hikikomori ha preso sempre più forza nel corso dell’ultimo decennio. Se inizialmente si riteneva questo genere di problematica legata esclusivamente alla dipendenza da forme di intrattenimento videoludiche, negli ultimi tempi sempre di più si è intuito che la console è solo un mezzo attraverso il quale un soggetto affetto da questa “malattia” sfoga sentimenti e sensazioni personali, legati alla paura del mondo esterno.

È necessario premettere che ogni caso ha le sue specificità, ma in generale i soggetti interessati condividono quasi sempre ansia sociale, preoccupazioni per il proprio futuro e per quello del resto dell’umanità, difficoltà a integrarsi e a trovare una strada nella vita. Il fenomeno, che inizialmente sembrava limitarsi al Giappone, in realtà si sta sempre di più diffondendo anche nel mondo occidentale. E, almeno per quanto ho potuto osservare nelle mie ricerche, se ne sa ancora ben poco. Altro problema è che non sempre è facile identificare i fattori che portano un giovane a isolarsi in questa maniera così netta dal mondo esterno.

Riccardo, di cui preferiamo non dire il cognome, ci ha contattato per raccontarci la sua esperienza: con estrema lucidità e sincerità ci ha parlato di un lungo periodo della sua vita in cui anche lui è stato affetto da questa “malattia”, anche se il termine è inadeguato a descrivere un fenomeno così complesso. Prima di lasciargli la parola, credo sia necessaria un’altra breve premessa: Riccardo adesso ha cambiato totalmente vita, per quanto ancora abbia degli strascichi di quell’esperienza. Come ci ha spiegato lui stesso, non c’è una soluzione unica per chiunque, perché spesso i fattori che portano a questo genere di situazioni sono molto personali. Dunque, crediamo sia importante riportare la testimonianza non tanto per offrire una soluzione, quanto per dare voce a un fenomeno che sta prendendo campo e che è strettamente legato alla società attuale, alle sue dinamiche e a tante sue problematiche.

Adesso sto meglio, per quanto ancora abbia degli strascichi di questa esperienza. Il percorso di guarigione è molto lungo, anche perché è qualcosa che è iniziata già durante la mia adolescenza, durando poi per anni. Tutt’ora sono in cura, per quanto poi io viva la mia vita in maniera relativamente normale. Con questo voglio dire che ho una casa mia, un lavoro, e quando vado fuori non faccio pazzie o ho comportamenti strani. Tuttavia, alcuni disturbi sono rimasti, come ad esempio quello per l’igiene, una specie di disturbo ossessivo compulsivo, dato ovviamente dal non essere uscito da camera mia per tanto tempo.

Prima di raccontare come è iniziata, devo dire che fin da bambino sono stato una persona solitaria, non avevo molti legami, mi sentivo un po’ l’ultima ruota del carro spesso. Passato alle medie la cosa è peggiorata, finché non sono stato costretto a letto per un periodo lungo di tempo da un’osteomielite alla tibia destra. In quel momento ho cominciato a pensare che non fosse poi così male starsene da solo a casa. Sai, spesso i bambini dicono che odiano la scuola e che odiano i compiti. Ecco, io ho cominciato a fare gli stessi pensieri, che diventavano, però, sempre più concreti.

Dopo che mi sono rimesso, è cominciato un momento altalenante, i cui ho cominciato a passare periodi sempre più lunghi di tempo a casa e sempre meno a scuola. Allo stesso tempo, ho cominciato a chiudermi sempre di più in me stesso. Di fatto mi sono perso tutto quel periodo, solo adesso me ne rendo conto. Col passare dei mesi la mia vita ha cominciato a cambiare in maniera netta: stavo spesso sveglio tutta la notte, a giocare ai videogiochi o a guardare la televisione e mi addormentavo spesso solo al mattino, per poi svegliarmi solo nel pomeriggio. Avevo piano piano perso anche la concezione del tempo, ero entrato in un circolo vizioso.

Tuttavia, non ero consapevole di quello che mi stesse accadendo, cosa che ho realizzato solo adesso. Io semplicemente tentavo di assecondare solo i miei bisogni, di fare ciò che mi andava e che in quel momento mi faceva stare tranquillo e felice: TV, videogiochi, mangiare e bere. Non avendo altri doveri, che non fossero la scuola, non mi rendevo conto di starmi distaccando sempre di più dal mondo esterno. Le persone intorno a me hanno provato a starmi vicino: a cominciare da mia madre, che è stata sempre lì per me, tant’è che spesso tornava prima da lavoro nei miei momenti più bui. Anche i miei amici hanno tentato di riallacciare i contatti: un giorno sono addirittura venuti in gruppo a casa mia, ma io mi sono rifiutato di vederli. A posteriori, sono chiaramente dispiaciuto. Ma in quel momento non ero assolutamente in grado di avere a che fare con qualcuno che non fosse un membro della mia famiglia. E poi un mio caro amico in particolare ha provato a starmi vicino, ma anche con lui non ho avuto la forza.

Poi è arrivato il passaggio dalle medie alle superiori, che ha contribuito ulteriormente a isolarmi. Nei cinque anni di scuola secondaria, avrò frequentato sì e no una settimana. Passavo le mie giornate in casa, ed ero depresso. Tuttavia, solo a posteriori mi sono reso conto di esserlo stato, di aver avuto un lungo periodo di depressione. Lì per lì il mio unico pensiero era quello di aver perso ogni motivo di uscire da casa. Mi limitavo a vivere, giorno dopo giorno, a seconda di ciò che mi faceva stare bene in quel momento.

Sembra un’era fa, se penso al tipo di vita che conduco adesso: ho un lavoro, sono autonomo, ho una mia casa. Si potrebbe dire che sono guarito. Ma io non l’ho vissuta così. Non c’è stato un momento in cui ho deciso di “curarmi”, in cui ho capito di avere un problema. Semplicemente, un giorno, ne ho avuto abbastanza di soffrire. Ho deciso che volevo stare meglio, che dovevo cambiare la mia vita per “distruggere” quella sensazione. Ricordo che era l’ora di pranzo, stavo guardando un cartone animato e uno dei personaggi stava facendo un monologo proprio sulla depressione e sulla solitudine. Mi sono immedesimato e ho capito che la vita che stavo conducendo non meritava di essere vissuta. Sono scoppiato a piangere e ho chiamato mia madre, dicendole solo che volevo stare bene, che ne avevo abbastanza. Non avevo ancora chiaro in mente come avrei fatto, che percorso seguire. Sono andato ad un distretto sanitario e ho chiesto aiuto.

Da lì, ho cominciato il mio cammino, che, credetemi, è stato molto difficile. Certo, volevo uscire da casa, volevo stare bene, ma per ogni alto ci sono stati molti bassi. Tuttavia, se devo dire la verità, sono stati proprio i momenti difficili quelli che mi hanno aiutato maggiormente a uscirne: ogni volta che pensavo al mio malessere, alla mia solitudine, allo stesso tempo cresceva in me il desiderio di uscire, di fare nuovi amici, di tornare alla vita normale. E credo che proprio questo bisogno di riallacciare dei legami sia il vero punto di partenza per la guarigione. Non ho la soluzione per tutti, ma credo che avere un gruppo di amici disposto ad ascoltarti, senza lo stigma troppo spesso diffuso riguardo la salute mentale, sia una parte fondamentale. Così come parlarne con qualcuno che si occupa di questo tipo di problemi. Parlarne, condividere, questo è quello che posso consigliare.

Lascia un commento

Torna in alto