Cinema
David Lynch in pixel: il regista e i videogiochi
L’influenza del regista di Twin Peaks ed Eraserhead nell’universo videoludico
A cura di
Alberto Cantoni
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All’inizio degli anni Novanta i videogiochi erano soprattutto sperimentazione. Mentre Doom (1993) e Super Metroid (1994) inventavano nuovi design rivoluzionando il medium, altri titoli sembravano tentativi: visioni rudimentali di ciò che sarebbe stato possibile grazie alla potenza di calcolo del XXI secolo. Così, nel marasma creativo che precedette la rivoluzione commerciale portata dalla prima PlayStation, l’industria videoludica sfornò perle memorabili.
Prendete The Legend of Zelda: Link’s Awakening, quarto capitolo della celebre serie sviluppata da Nintendo, uscito su Game Boy nel 1993. Risulta molto diverso dai suoi predecessori: l’isola di Koholint, dove è ambientato, è caratterizzata da atmosfere insolite e personaggi ambigui.
Ancora oggi stranisce: nel gioco l’abitante di un villaggio si meraviglia di ciò che lo circonda, un altro si sforza di capire come e quando è arrivato in quel luogo. Un altro ancora, un certo Tarin, è camuffato da Super Mario e a un certo punto si trasforma in un procione senza alcuna spiegazione logica. Alcuni simboli ricorrono frequentemente con il progredire della storia, come i gufi. Nel colpo di scena finale il protagonista trova la verità scritta sul muro di un tempio: “Koholint è un sogno, una tenue illusione emanata da una mente addormentata”.
Zelda e l’influenza di Twin Peaks
Link’s Awakening si discosta profondamente da tutti gli altri titoli della serie non tanto nelle meccaniche, quanto nella scrittura. Se giocato in versione originale (nel 2019 è uscito un remake su Switch) trasuda ancora oggi un surrealismo inquietante che ben si fonde con il fascino retrò degli 8 bit. Il paranormale e l’onirico rimestano tra le linee di codice di uno dei prodotti digitali più peculiari di quegli anni.
Trovare un solo aggettivo per descriverlo è complesso. Uno dei termini più azzeccati è mutuato dal lessico cinematografico e dal 2018 rientra tra i vocaboli dell’Oxford English Dictionary: il quarto capitolo della serie di Zelda è un’opera estremamente “lynchiana”, cioè direttamente influenzata dal linguaggio di uno dei più grandi registi viventi, David Lynch.
In effetti, negli anni Novanta Twin Peaks – la serie cult ideata dal cineasta statunitense e da Mark Frost – conobbe grande popolarità anche in Giappone (ne parlò persino il New York Times in un lungo articolo) e questo titolo Nintendo, più di ogni altra cosa, è una testimonianza di quel fenomeno.
In un’intervista del 2010 Takashi Tezuka, director di Link’s Awakening, rivelò esplicitamente l’ispirazione per la sua realizzazione: “All’epoca Twin Peaks era piuttosto popolare – spiegò –. Il dramma era incentrato su un esiguo numero di personaggi in una piccola città. Così ho voluto creare qualcosa di simile, che, pur essendo abbastanza piccolo da essere facilmente comprensibile, avesse caratteristiche profonde e distintive”. Lo stesso Mark Frost ha recentemente ammesso di aver incontrato il team di sviluppo e di aver parlato con Tezuka in quegli anni.
Lynch e i videogame
David Lynch e il mondo dei videogiochi sono legati da un sottilissimo filo traslucido. Tra il 1990 e il 1991 si speculò molto su un gioco basato proprio sul franchise di Twin Peaks: l’idea non andò in porto, ma l’influenza che la serie e in generale l’opera dell’autore nato in Montana hanno esercitato sull’industria videoludica è stata a lungo sottovalutata.
La contaminazione narrativa risulta lampante in alcuni titoli blasonati come Alan Wake (Xbox 360, 2010), survival horror ambientato nella fittizia Bright Falls, gemello omozigote della cittadina teatro dell’uccisione di Laura Palmer. Il male che in Twin Peaks proviene dai boschi, in Alan Wake dimora in un lago.
Esistono perle meno conosciute, come Mizzurna Falls (1998) o i più recenti Deadly Premonition (2010) e Kentucky Route Zero (2013). Ma anche giochi più noti come Life is Strange (2015)e Control (2019) devono tanto a Lynch. Persino Hideo Kojima, ideatore della serie Metal Gear – se non il più grande autore di videogiochi di sempre, sicuramente il più eccentrico – ha più volte espresso ammirazione nei confronti della sua opera. In un tweet del 2018 lo ha anche tributato pubblicamente, ringraziandolo per avergli “dato coraggio”.
Lynch arrivò molto vicino a creare anche il proprio videogioco. La volontà di espandere il suo immaginario oltre il mezzo cinematografico lo portò nel 1998 ad annunciare Woodcutters from Fiery Ships, un’avventura grafica per PC sviluppata insieme allo studio giapponese Synergy. Sfortunatamente l’idea naufragò: in un’intervista al Guardian nel novembre 1999 il regista spiegò che il progetto risultò “bloccato fin dall’inizio” poiché sarebbe stato “completamente noioso per gli appassionati di videogiochi”. Medium diversi, linguaggi inconciliabili.
Lo spot per PlayStation
All’inizio degli anni Duemila, mentre si delineava un tripolio commerciale insieme a Nintendo e Microsoft, Sony diede vita a una campagna pubblicitaria particolarmente bizzarra per la sua neonata PlayStation 2. In un celebre spot intitolato Mental Wealth girato da Chris Cunningham (autore dei videoclip Frozen di Madonna e All Is Full of Love di Björk), una ragazza con il volto deformato digitalmente parlava di fronte alla telecamera di cose che non avevano nulla a che fare con la console, in maniera estremamente originale ma anche inquietante.
“Originale ma anche inquietante”: forse era proprio quello che voleva trasmettere il colosso giapponese per il suo brand. Inutile dire che il nostro David venne contattato immediatamente. Così, rievocando il surrealismo in bianco e nero del suo leggendario film d’esordio, Eraserhead, Lynch lavorò a stretto giro con l’operatore di macchina del futuro Mulholland Drive, Scott Billups, e con il suo collaboratore musicale di lunga data, John Neff, per dare vita a un altro video pubblicitario diventato iconico: The Third Space.
In un solo monocromatico minuto, lo spot presenta diversi tratti distintivi del suo stile, tra cui un doppelgänger e un chiaro riferimento a Twin Peaks, con il tipico pollice in su del protagonista Dale Cooper. Esistono affascinanti filmati del dietro le quinte, in cui Lynch appare coinvolto ed eccitato. “Dave, inizia a fumare. Bene, Dave. Fuoco! Ok. È così fottutamente meraviglioso”, grida sul set a un certo punto, con molti del cast e della troupe visibilmente disorientati.
Il terzo luogo
La campagna commerciale di PlayStation fece parlare di sé ma venne anche fraintesa. Chissà che l’obiettivo non fosse proprio agitare le acque. D’altronde, una nuova epoca era alle porte: quella del “third space” digitale, per l’appunto.
Il “terzo luogo” è un concetto portato alla ribalta dal sociologo statunitense Ray Oldenburg nel libro The Great Good Place (1989). Rappresenta lo spazio pubblico e sociale dove si passa il proprio tempo, che non sia la casa o il lavoro. Oldenburg ne esplora il contributo positivo per la democrazia e la comunità, ma soprattutto per il benessere psicologico di chi lo sperimenta.
Infine, come dichiarò Kieron Monahan, direttore dell’agenzia che si occupò delle pubblicità per PlayStation: “l’approccio di David era totalmente diverso da quello di altri registi di livello mondiale. Se c’era una persona che avrebbe capito cosa avremmo dovuto comunicare… quella era David Lynch”.