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Per un calcio sempre più social

Dai prossimi Europei di calcio di Germania, i TikToker avranno accesso agli accrediti stampa, entrando così “a gamba tesa” nel mondo dell’informazione sportiva

A cura di

Lorenzo Marsicola

Immagini di

Nicolò Guelfi


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Avete mai sognato di poter andare a vedere la vostra squadra del cuore allo stadio e magari poter conoscere i vostri giocatori preferiti? Magari aver accesso agli spogliatoi, alla conferenza stampa, ai festeggiamenti? O meglio ancora: chi non vorrebbe assistere a una partita della propria nazionale, magari ai Mondiali o agli Europei?

Quest’ultimo caso è forse quello più raro. Mondiali ed Europei si svolgono una volta ogni quattro anni, le partite sono poche, i biglietti pure e spesso economicamente inarrivabili per un cittadino comune. Fatta questa premessa, veniamo alla notizia: l’annuncio da parte della Uefa della possibilità che dai prossimi Europei di calcio, in programma nel 2024 in Germania, gli accrediti stampa della federazione verranno assegnati ai Tiktoker. L’idea era già stata messa in pratica, per la verità, ai Mondiali in Russia nel 2018, dove però erano state alcune grandi aziende (in primis Adidas) a fornire accrediti stampa ad alcuni YouTuber.

Per chi non fosse pratico, un accredito stampa permette alla persona in suo possesso di accedere a tutta quella parte extra-campo a cui ogni tifoso vorrebbe assistere: conferenza stampa, spogliatoi, interviste prepartita, guardare il match in compagnia di giornalisti o dirigenti della propria nazionale. La notizia è passata relativamente sotto silenzio, ma ciò non credo debba più stupire: questo è solo l’ultimo dei frutti del nuovo modo di fare comunicazione e di relazionarsi attraverso i social network nel mondo del calcio e dello sport in generale. Per cui è normale che un influencer, che tratta di sport sui propri canali, abbia diritto ad accedere a momenti che normalmente sarebbero riservati a giornalisti, radiocronisti o telecronisti.

L’accordo, secondo quanto detto dalla Uefa, prevede che l’influencer di turno possa accedere a tutto questo, guardare la partita, con l’unica limitazione di non poter trasmettere niente di quanto accade in campo, questo per far sì che il pubblico debba comunque utilizzare i canali ufficiali della federazione per vedere la partita.

Ma non è questo il punto. La questione, a mio parere, è etica, e verte sulla preparazione che queste persone hanno (influencer, che utilizzo in maniera generica, o content creator, se preferite), e su come si faccia nell’anno del Signore 2023 informazione sportiva.

Per quanto ci siano canali sportivi che attraverso piattaforme e mezzi diversi dalla scrittura giornalistica riescano a fare della buona informazione a livello sportivo (vedi Ultimo Uomo o Cronache di Spogliatoio), la prima domanda che mi è balenata nella mente, leggendo questa notizia, è stata: ma davvero è meglio assegnare un potenziale accredito stampa ad un content creator, invece che a qualche giovane giornalista o a qualche piccola rivista sportiva, i quali, ottenendolo, potrebbero non solo vivere un’esperienza assolutamente straordinaria, ma anche farsi pubblicità, mettersi in mostra, e perché no, raccogliere nuovi lettori?

Che benefici porta alla Uefa e alle federazioni nazionali avere queste persone a bordo campo, nei propri spogliatoi o in conferenza stampa? A questa seconda domanda, duole dirlo, ma dare la risposta è facile: ci sono influencer che singolarmente pareggiano o superano a volte i follower di alcuni giocatori, o a volte di intere squadre. Per cui averli a bordo campo incrementa la visibilità della squadra stessa, coinvolge maggiormente le nuove generazioni e magari ragazzi o ragazze non appassionate, ma che per la sola presenza del loro content creator preferito, seguiranno la partita. Il che però ha un problema di fondo evidente: lo spettacolo non è più sul campo, ma fuori dal campo. Lo sport non è più il protagonista, ma i personaggi che ne fanno parte o che vi girano attorno.

Tornando alla prima delle due domande, invece, la risposta che mi verrebbe naturale dare è “ovviamente no”. Che competenza e che diritto hanno di accedere gratuitamente a un evento di portata mondiale, come è una partita di un Mondiale di calcio, persone che spesso trattano di sport in maniera superficiale, essendo anche, in maniera frequente, tifosi che niente sanno dei giocatori e delle squadre in campo?

A livello comunicativo, almeno per un appassionato di calcio, non portano nessun tipo di contributo: l’obiettivo dell’assegnazione di un accredito stampa dovrebbe essere quello di dare la possibilità a giornalisti, di aziende, riviste, quotidiani, radio e chi più ne ha più ne metta, di poter offrire ai propri spettatori un quadro a 360 gradi dell’evento sportivo a cui hanno avuto l’occasione di partecipare. Dunque, date le grosse possibilità economiche dei più famosi content creator, più che sufficienti per comprare un biglietto di una partita di Mondiali o Europei, perché non destinare gli accrediti verso chi veramente ne ha bisogno e ne fa buon uso? Forse però sono le premesse da cui parto a essere sbagliate.

È evidente che il giornalismo sportivo, in Italia, ma non solo, sia in crisi. Meno di altri tipi di giornalismo, ma comunque è evidente che anche colossi come la Gazzetta dello Sport siano in calo nelle vendite ormai da tempo. Si legge ormai poco di sport, e quel che si legge è sempre meno legato ad eventi di campo, nel caso di un calciatore, e di più a situazioni extracalcistiche, come l’ultimo post su X (il fu Twitter) o l’ultima foto su Instagram.

Senza inoltrarsi in un complicatissimo discorso sul perché di tutto questo, possiamo dire che le spiegazioni sono due principalmente: da un lato, la mancanza di cultura, e letteratura, sportiva nel nostro Paese. Dall’altra le nuove modalità comunicative nel mondo dell’informazione. Cosa voglio dire con questo? Che forse questa notizia, che tanto mi ha stupito e, diciamocelo, innervosito, non è affatto una notizia. È solo una naturale conseguenza.

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