
36 respiri
3. La cura – parte I
Un racconto di Davide Cirrincione
A cura di
Immagini di
Davide Cirrincione
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“Adesso sentirà un suono prolungato, non molto forte ma un po’ fastidioso. Noi abbiamo già visto, dalla stanza infermieri, che il suo cuore ha smesso di battere e cerchiamo di evitare che le persone in visita ai pazienti si allarmino o spaventino all’interno della stanza senza il supporto del personale. Le posso garantire che, in questi giorni, soprattutto durante le ultime ore, il paziente non ha sofferto e il suo respiro si è interrotto dolcemente.”

“Sta dicendo che è…?”
Dissi quasi piangendo.
“Sì.”
Affermò l’infermiera, togliendomi il bicchiere dalle mani.
È arrivato qui in condizioni critiche ma siamo riusciti ad accompagnarlo, fino alla fine, nel migliore dei modi possibili e questo anche grazie a lei. Anzi, siamo tutti convinti che la maggior parte del lavoro sia stato svolto da quella poltrona e da una persona disponibile a cui, mi creda, quell’uomo sarà sempre riconoscente come, del resto, anche noi. Per favore, signora Grace, presti attenzione a me. Vede questa linea sinusoidale?”
Mi asciugai gli occhi per non perdere le lacrime che a breve sarebbero fuoriuscite dandomi una visione appannata.
“Sì, la vedo.”
L’infermiera, con la chiara intenzione di coprirmene la vista, si era interposta tra me e il letto del paziente ed entrambe eravamo in piedi davanti al monitor. Mi ero alzata dalla poltrona senza pensare che avrei dovuto farlo lentamente ma, in quel momento, non ebbi mancamenti né altro malessere.
“Questa linea indica il benessere di una persona durante uno stato di sofferenza. Grazie ad un algoritmo, è possibile rilevare e rappresentare graficamente il sollievo che un paziente prova in corrispondenza di un dolore più o meno controllato. Il tracciato verticale della linea, la spalla, come viene chiamata, è tanto più alta quanto questo sollievo è importante.”
Spiegò, cercando di attirare ancora il mio sguardo e catturare la mia attenzione.
“Queste informazioni vengono rilevate da alcuni micro-sensori installati su delle membrane di gomma, le stesse che utilizziamo per controllare il battito cardiaco. La strumentazione elettronica registra in maniera completa ogni secondo della vita del paziente insieme a tutto quello che succede nell’ambiente circostante. Il racconto di quest’uomo è stato registrato ed è presente anche lei con la sua voce. Noi abbiamo già stampato quanto immagazzinato nel computer. Avrà quel libro con le pagine da toccare e con tutte le parole che…”
Sorrise, chiudendo le mie mani nelle sue.
“… vi siete detti.”
Continuai a guardare i simboli elettronici lampeggiare con regolarità, ormai erano solo la vita passata di quell’uomo registrata come ricordo, archiviata su un supporto dal quale richiamarne la memoria ed io mi ero, in qualche modo, aggiunta agli ultimi minuti della sua vita sconoscendone tutti i precedenti eccetto quelli da lui raccontati. Emozioni contrastanti si insinuarono in me richiamando il mancamento che mi aveva risparmiata pochi minuti prima. L’infermiera aveva staccato una delle sue mani dalle mie ma soltanto per poggiarmela sul fianco e reggermi in caso ne avessi avuto bisogno. In quell’ospedale sembrava conoscessero il destino del paziente e sebbene si fossero occupati di lui in maniera ineccepibile, continuavano a mantenere una grande attenzione per me che in fin dei conti… non meritavo: ero solo una persona, come altre centinaia, in visita ad un degente.
Mi persi in me stessa, nei secondi che precedettero il capogiro, pensando che evidentemente il loro agire fosse mirato a non perdere mai di vista la traccia di vita durante la gestione della morte: un invito a guardare sempre avanti. Piansi in silenzio. Alla mia età, pensare alla vita e ricevere così tante attenzioni, mi sembrava uno spreco di risorse ed un azzardo con il tempo. L’infermiera mi sorresse decisa fino a quando il capogiro si esaurì completamente lasciandomi accennare ad un sorriso che mi fu subito ricambiato.
“Le stavo parlando della linea sinusoidale qualche minuto fa, ricorda?”
Guardai il monitor, poi il suo viso.
“Mi stava parlando della spalla. Immagino sia la linea pronunciata in questo punto del grafico.”
Risposi seguendo il tracciato con il dito.
“Sì, proprio quella. Ne guardi con attenzione il crescere, osservi la sua distensione sull’asse orizzontale per diversi, possiamo dire, centimetri e come il suo vertice raggiunga il punto più alto sull’asse verticale in corrispondenza di questa traccia audio, qui, sul punto che le sto indicando.”
Cosa intende per traccia audio? Si riferisce forse ad un suono, ad una musica?”
Chiesi con prudenza.
“Mi riferisco ad un file che, con un computer o altro strumento adatto, possiamo ascoltare o, meglio, riascoltare e che la spalla indica come il momento in cui il paziente ha provato maggiore benessere e sollievo nella sofferenza della sua condizione clinica in questa stanza. Sia chiaro però, maggiore benessere e sollievo, non la completa sparizione della sofferenza, evento impossibile dal punto di vista clinico date le sue condizioni e, probabilmente, anche per la stessa natura umana. Il file di cui le parlo altro non è che la vostra voce, per la precisione quella di uno dei due: è la sua, signora Grace.”
Il monitor, adesso, mostrava un’immagine del tutto diversa, molto più semplice e con meno elementi da visualizzare.
“Vorrebbe ascoltare quali parole, Grace, ha pronunciato nel punto più alto della spalla? Nel momento di maggior sollievo di questo paziente? Di quest’uomo?
“Io… È veramente possibile che quest’uomo mi abbia sentito parlare e rivolgermi a lui? Che abbia ascoltato le mie parole?”
“Non abbiamo dubbi. La strumentazione ha rilevato perfettamente che questo sia avvenuto. Siamo anche certi del fatto che egli abbia vissuto l’esperienza di essere ascoltato.”
“Quali… io… cosa…?”
Guardai l’infermiera eseguire delle operazioni sul monitor e poi non riuscii a trattenermi dal piangere. Portai una mano alla bocca per coprirla e controllare il singhiozzo.
“Quali parole ho detto a quest’uomo?”
Mi offrì un fazzoletto prima di porgermi gli auricolari.
“Ascolti.”
Il singhiozzo non era ancora del tutto esaurito quando portai le mani sui lati della testa come a voler proteggere e isolare il suono che, a breve, aspettavo di rilevare da quei due piccoli oggetti di plastica. Sentire la mia voce attraversarmi le orecchie fu una sensazione strana, come sapere di me stessa. La qualità di quel file eccellente. Le parole estremamente chiare e inconfondibili:
“Se hai qualcosa da raccontare, sono qui.”
“Possiamo anche misurare, relativamente ad un parametro, quanto di questa sofferenza è rimasta nel picco di benessere sinusoidale.”
Stanca, ma non più di quanto non lo fossi in una giornata ordinaria, ascoltavo ancora con discreta lucidità le argomentazioni dell’infermiera che si interruppe per rivolgere un rapido sguardo ad una collega presente nella stanza e dalla quale ricevette un cenno con il capo.
“Adesso, mia cara signora, è ora che lei vada. Al desk troverà Eleonor che le consegnerà le pagine stampate di cui le ho parlato. Non abbia paura nel muoversi da sola all’interno dell’ospedale o nel tornare a casa, ho controllato nuovamente le sue condizioni durante questo nostro, chiamiamolo, congedarsi ed è tutto nella norma.”
La sua unica ruga sembrava ora più presente sul viso un po’ teso che mal nascondeva una fretta per qualcosa che pensai fosse un’emergenza in corso o la richiesta di personale in un altro reparto dell’ospedale. Continuava a rivolgere lo sguardo verso la collega che attendeva fuori dalla stanza e che aveva aperto entrambe le ante della porta come se fosse imminente l’arrivo di qualcuno. Mi accompagnò in corridoio con la medesima gentilezza offertami per l’intera giornata e sorridendomi mi disse:
“Ha visto la sacca trasparente che la mia collega teneva in mano mentre uscivamo dalla stanza?”
Sollevai la testa per dire sì e abbassandola chiesi:
“E’ una sacca con lo stesso farmaco somministrato a quell’uomo durante il suo racconto?”
Invitandomi ad avvicinarmi alla parete per rendere sgombro il corridoio rispose:
“E’ proprio la stessa utilizzata per quell’uomo. Avrei voluto continuare a spiegarle cosa facciamo in questa struttura nella stanza ma, come avrà capito, è stato necessario liberarla per un altro imminente ricovero.”
Sospirai e con tristezza dissi:
“Avrei voluto salutarlo invece di uscire da una stanza ormai vuota.”
“Ha fatto molto di più, mi creda.”
Ribatté con tono pacato unendo le mani.
“E poi preferiamo che le persone in visita ad un degente vadano via con una spiegazione invece che con un saluto davanti ad un letto. Lei ha fatto molto di più, veramente.”
Non riuscivo a credere a ciò che l’infermiera stesse dicendomi. Mi sentii sollevata dalle sue parole e la ringraziai di questo suo ennesimo occuparsi di me.
“Il farmaco.”
Disse con tono che faceva prevedere una spiegazione.
“Il farmaco è il nostro indicatore di quanta sofferenza rimane nel picco della curva sinusoidale che lei stessa ha riconosciuto sul monitor e mi ha indicato proprio con il dito di questa sua mano.”
Teneva la mia sul palmo sinistro della sua e aggiunse:
“Qui non somministriamo farmaci ai pazienti ma, semplicemente, ne apriamo il flusso in modo che essi possano assorbirli in base alle loro necessità. In un dato tempo, il paziente ne assorbirà una quantità direttamente proporzionale al suo soffrire per cui, la misurazione finale dell’ammanco nella sacca ci darà l’indicazione di quanto ha sofferto per il suo dolore. In questo caso il consumo è stato minimo, lei stessa si era allarmata del fatto che il deflussore sembrava non funzionare. La mia collega sulla porta teneva una sacca a cui mancava veramente poco di quel farmaco. Lei ha fatto un ottimo lavoro, mi creda. Non pensi ad una stanza vuota dove non ha potuto salutare un uomo sconosciuto al quale ha voluto bene attraverso la disponibilità data ma torni a casa con il pensiero di essere stata quello che lui aveva chiesto.”
Mi guardò negli occhi e, prima di salutarmi, prolungò lo sguardo qualche metro più avanti facendo cenno a qualcuno come per comunicargli che adesso mi avrebbe lasciata lì. La vidi entrare nuovamente nella stanza ma riuscii a dirle con ammirazione:
“Grazie di…”
“Grazie a lei, veramente.”